TOP OF THE LAKE
su Sky Atlantic dal 16 giugno
[dropcap size=big]U[/dropcap]na ragazzina entra vestita in un lago montano e avanza verso il centro, finché una voce fuori campo non la ferma e la salva. È, in maniera evidente, un tentativo di suicidio, ma l’atmosfera immobile, immersa nella vastità della natura, carica il gesto tragico di un senso di mistero. La ragazzina si chiama Tui, ha solo 12 anni e, come ben presto scopre la polizia, è incinta di cinque mesi. Tui rifiuta però di spiegare il suo gesto, anche quando entra in scena Robin (Elisabeth Moss, straordinaria, vista nei panni di Peggy Olson in Mad Men), detective di città tornata in paese per far visita alla madre. Robin riesce subito a creare un’empatia con la ragazza, ma sul foglietto in cui dovrebbe rivelare il nome del suo stupratore, Tui scrive: «Nessuno ». Presentato il caso, Top of the Lake di Jane Campion – fresca Presidente di Giuria a Cannes – pone le basi dell’altra storia parallela, quella dell’inevitabile conflitto fra Matt (il bravo scozzese Peter Mullan), padre macho e violento di Tui e di due ragazzotti tatuati e bellicosi, e la mistica GJ (Holly Hunter), che ha appena acquistato Paradiso, terra che Matt considera sua, per il suo centro di riabilitazione per donne maltrattate. Miniserie in sette puntate trasmessa lo scorso anno su Sundance Channel, Top of the Lake è l’ennesima dimostrazione che oggi la televisione offre molta più libertà creativa del grande schermo. La Campion ha ricoperto tutti i ruoli chiave – ideatrice, sceneggiatrice, regista e produttrice – ottenendo il controllo totale sul progetto. Questo le ha permesso di affrontare nuovamente il tema chiave del suo cinema, già espresso al meglio ventuno anni fa nel capolavoro Lezioni di piano: il conflitto fra maschile e femminile, che oltre ad una valenza politico-femminista, si trasforma, grazie al confronto con la natura, in una visione simbolica e panteista. E, almeno in questo caso, i tempi lunghi della serialità diventano un’occasione preziosa per accompagnare lo spettatore dall’evidenza del trama mistery alla complessità dei sentimenti.
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TRUE BLOOD 7
su Fox dal 30 giugno
Tempi duri per i vampiri. Archiviato nella memoria generazionale Twilight, dopo il flop di Dracula, anche True Blood chiude la sua storia. Il maggior pregio della serie creata da Alan Ball e tratto dai romanzi di Charlaine Harris è stato quello di essere più sanguinoso, erotico e dark rispetto al concorrente Vampire Diaries, scegliendo – anche se si rivolge ad un pubblico adolescente – un approccio più adulto.
Per il gran finale l’idea è stata quella di fare una sorta di reset con salto temporale – la sesta serie si chiudeva con un nuovo incipit sei mesi dopo – ed una semplificazione narrativa. True Blood, infatti, si era un po’ perduto nell’accumulo di storyline e location. Ora invece tutto è ambientato a Bon Temps, Louisiana, e il tema torna ad essere quello delle prime e migliori stagioni, cioè il rapporto fra umani e vampiri. Di fronte all’epidemia che ha reso buona parte dei non morti una torma di assetati, ora gli umani devono nutrire i vampiri amici per ottenere da loro protezione contro gli infetti. Dal finale, che vedrà in scena tutti i protagonisti più amati compreso Eric/Alexander SkarsgÃ¥rd, ci aspettiamo che pure l’instancabile (sessualmente parlando) Sookie, ovvero Anna Paquin (altra reduce da Lezioni di piano), trovi finalmente un po’ di pace sentimentale.
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MASTERS OF SEX
Il vantaggio di una pay tv rispetto alla tv generalista? Quello di potersi preoccupare più della qualità che del rischio di scandali. Un ottimo esempio è questa serie sul sessuologo William Masters e la psicologa Virginia Johnson che, a metà degli anni Sessanta, pubblicarono un testo sulla fisiologia sessuale. Con un raffinato gusto vintage alla Mad Men, Masters of Sex mostra e parla di sesso, con ritmo brillante e ironia. Ma offre una chiave di lettura imprevista: il vero territorio proibito, infatti, finisce per essere non quello dell’orgasmo, ma l’altro più segreto dell’etica e dei sentimenti.
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