Body Odissey, parla la regista Grazia Tricarico

Abbiamo intervistato la regista del lungometraggio sulla bodybuilder interpretata da Jacqueline Fuchs e in sala fino al 17 aprile al Cinema Nuovo Aquila di Roma: «Parlo di conflitto col proprio corpo». E sul co-protagonista Julian Sands: «Un attore straordinario, mi manca. Ma sento che sta accompagnando il film».

0

Sino al 17 aprile al Nuovo Cinema Aquila di Roma (dove è al centro di una serata evento il 12) fa la sua prima tappa nelle sale (dopo l’anteprima al Bif&st 2024, sezione Panorama Internazionale) l’interessantissima opera prima di Grazia Tricarico, Body Odissey, una co-produzione italo-svizzera Revok, Fenix Entertainment e Amka Films Productions con Rai Cinema e RSI Radiotelevisione Svizzera. Un esordio cui la cineasta lavora da quasi un decennio e a cui nel frattempo ha dedicato anche un corto, Mona Blonde (2014), che, specifica a Ciak, «voleva essere uno “studio della materia”», per meglio conoscere i temi e il mondo di cui ci parla anche il lungometraggio, ovvero quello del bodybuilding, segnatamente femminile.

Ma l’approccio di Tricarico in Body Odissey non è realistico, tantomeno documentaristico, e il contesto rappresentato serve piuttosto a parlarci «di un corpo», e del rapporto di amore-odio che intratteniamo con esso, un discorso «ampio e complesso che ci riguarda tutti. Cosa ci dice il corpo quando ci pettiniamo la mattina o quando stiamo in palestra? Ognuno di noi ha vari livelli di conflitto col proprio corpo, anche solo quando si tratta di vestirsi e coprirsi per uscire di casa. Il nostro involucro può diventare una prigione, ed è costantemente sottoposto a forze esterne, a una società che ci vuole sempre belli, giovani, prestanti. Allora è una gabbia, o può diventare uno strumento di libertà per noi?».

Un dilemma che la regista esplora a partire dalla vicenda di Mona (interpretata, come nel corto, dalla vera culturista di fama internazionale Jacqueline Fuchs), la cui ricerca di perfezione atletica tende a sfociare in ossessione, anche per le pressioni del suo allenatore Kurt, che ne controlla rigidamente ogni aspetto della quotidianità, dall’alimentazione al sesso, fino a proporle di ricorrere a steroidi illegali pur di vincere il titolo mondiale. E, mentre il corpo e la mente della donna hanno ormai iniziato a dissociarsi per il training sempre più estremo, l’incontro con un ragazzo che sembra attratto dalla fisicità non convenzionale di lei contribuirà a far precipitare la situazione.

«Non è un film che lavora sull’empatia, ma sull’immersione», specifica Tricarico, non a caso la dimensione acquatica è centrale in un lavoro che, sin dal titolo, rimanda non solo al legame tra l’immaginario del bodybuilding e la cultura dell’Antica Grecia, ma anche a un viaggio di ricongiungimento tra due parti scisse di sé: «C’è uno scollamento profondo tra contenitore e contenuto, ma anche una volontà di ritorno a casa», spiega la regista, sottolineando che «l’acqua è legata a Mona al corpo umano in genere, c’è forte corrispondenza tra il lago che vediamo nel film e l’interno della protagonista». Il racconto segue infatti un filo onirico ed espressionista dove «tutte le location sono dei luoghi del corpo di lei, che le parla descrivendole dei paesaggi tra l’organico e il geologico. Quello che viviamo è una realtà distorta fin dall’inizio, lei è il filtro, perché la avviciniamo quando la sua trasformazione è già in atto, anche se deve compiersi l’ultimo passo».

Jacqueline Fuchs e Julian Sands in Body Odissey.

In questo tortuoso e allucinato sentiero, l’Odissea di Mona ci interroga dunque, a un livello di ambiguità che non si concede risposte facili e rassicuranti, su questioni come l’accettazione del proprio fisico (per le donne, e non solo) e i problemi di salute legati al rapporto con esso: «Si parla tanto di body shaming, ma forse questo film lo fa in un modo più sfumato di come spesso purtroppo accade, rimescolando le carte, esplorando più di un livello di lettura. Volevo condividere una visione alternativa su cui se non altro dobbiamo confrontarci, al di là delle “mode”. Oggi poi abbiamo anche il mondo delle identità virtuali, gli avatar e la sospensione della parte fisica: di materia su cui lavorare ce n’è».

Un contributo alla complessità e intensità del film viene dalle prove dei protagonisti, a cominciare dalla stessa Jacqueline Fuchs, con cui la cineasta ha riflettuto su «dove siano la bellezza e la femminilità: discorsi che con lei facciamo da sempre, andiamo in giro insieme e vediamo un certo tipo di sguardi che si raccolgono in giro, e sono spesso di disprezzo». Ma “J.”, come la chiama Tricarico, «è invece una persona che si piace enormemente, ed è molto femminile», anche e soprattutto nell’amore per la propria fisicità non conforme, «in questo essere immune dal giudizio trovando il suo corpo bello, sano, in armonia: lei ne ha fatto una ragione di vita, non ne ha fatto una prigione, diversamente da Mona. Poi, come per tutte le grandi storie d’amore, ci sono stati dei conflitti. E in tanti aspetti del film, pur così surreale, ha rintracciato qualcosa che aveva già sentito».

Particolarmente rilevante poi il personaggio di Kurt, affidato a Julian Sands, interprete di film come Urla del silenzio, Camera con vista e Gothic, tragicamente venuto a mancare nel 2023. «Un attore straordinario, mi manca molto», dice Tricarico, che però non ne parla al passato perché «per me lui è presente: lo sento, sta accompagnando me e questo film. Averlo nella mia opera prima è stato un grande regalo, sono sempre stata innamorata di lui come attore, fin da ragazzina. Ha sposato da subito il progetto, che ha avuto una gestazione molto lunga, a causa del Covid e non solo. Ma Julian c’è sempre stato, con generosità».

E mentre il pubblico italiano scopre Body Odissey, la regista è già all’opera su un nuovo lavoro: «Sono pronta con un soggetto, una cosa completamente diversa: si tratta di un period movie ambientato in un giardino, alla fine del Settecento, con personaggi maschili, il titolo è The Ornament. Stiamo cercando la produzione giusta, speriamo di fare presto».