Nella giornata di ieri è stata pubblicata la lista dei 25 film italiani candidati per rappresentare l’Italia ai prossimi Academy Awards. Tra questi titoli non figura “Gli anni più belli”, il film diretto da Gabriele Muccino con protagonisti Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria. Il regista romano ha voluto commentare la notizia sul suo account Instagram, chiarendo, con una vena polemica, il suo punto di vista sull’industria cinematografica italiana e spiegando che la mancata candidatura sia stato frutto di un equivoco della produzione in cui sta lavorando.
Ieri è scaduto il tempo limite per presentare la candidatura all’Oscar. Per colpa di un equivoco della Produzione per cui lavoro nella consegna della candidatura per gli Oscar, Gli Anni Più Belli non parteciperà, pare, alla selezione che indicherà il film italiano che a sua volta rappresenterà l’Italia alla nuova cerimonia. Ci sono rimasto male, certo. Ma so, anzi realizzo di sapere che la Commissione per la selezione dei film italiani da inviare all’Academy non ha e nemmeno può avere davvero idea del gusto e dello sguardo che gli americani hanno dell’Italia. Si sa già chi verrà selezionato: Il meno commerciale, quello con meno chances, (perché in Italia il film che “incassa” è ancora visto con sospetto, eredità ideologica e infima degli anni ‘70). È il più grande limite delle giurie, dei premi italiani e anche delle commissioni che decidono cosa premiare e in questo caso cosa piacerà agli americani, (vi garantisco che giochiamo su due campionati davvero antitetici), che premiano, esaltano, dimenticano, ignorano quale sia il vero proscenio internazionale. Non lo conoscono. Ho vissuto 12 anni a Los Angeles e realizzato 4 film in quel sistema complicatissimo. Ho portato e visto Will Smith candidato all’Oscar come miglior attore protagonista ne La Ricerca della Felicità, ho realmente lavorato e vissuto nel sistema Hollywood, alla Columbia dove hanno lavorato i più grandi registi del mondo da Frank Capra a Kubrick a Scorsese. Ho conosciuto lo sguardo che gli americani hanno sul mondo, facendomi camaleonte io stesso e raccontando la loro storia senza averla vissuta ma ispirandomi al nostro cinema più classico senza cadere negli stereotipi di chi non conosce un luogo e lo racconta da straniero. Faccio film e da 23 anni, raccolgo consensi di pubblico e non posso considerarmi più fortunato. Ma qualcosa, qui, nella nostra industria, deve cambiare se vogliamo realmente crescere e competere nella più importante delle arene. Il grande scrittore Arbasino, ci ricorda che in Italia il percorso di un artista viene segnato da una infausta parabola. Quella per cui sarai “giovane promessa, venerato maestro, solito stronzo”.
Cerchiamo di migliorarci, per una volta.
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