Michela Cescon: “Occhi blu, il mio noir tra Refn e Melville”

L'attrice esordisce alla regia con un film di genere interpretato da una misteriosa Valeria Golino

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michela cescon

Tempo di esordi dietro la macchina da presa per molte attrici italiane. Claudia Gerini, Jasmine Trinca, ma quest’anno prima di tutte arriva Michela Cescon, che ha scelto come protagonista del suo Occhi blu una collega che ha già due belle regie all’attivo, Valeria Golino.

Girato in una Roma quasi sempre notturna e suggestiva, Occhi blu è un noir che ha esordito fuori concorso al Taormina Film Festival, per poi arrivare subito dopo nelle sale cinematografiche distribuito da I Wonder Pictures, a partire dall’8 luglio.

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Il film segue le gesta di un misterioso rapinatore praticamente inafferrabile, che colpisce e poi fugge via su dei velocissimi scooter truccati. La polizia brancola nel buio, per questo il commissario interpretato da Ivano De Matteo chiede aiuto a un collega e amico di vecchia data che arriva direttamente dalla Francia, un inaspettato e irriconoscibile Jean-Hugues Anglade.

Tutti hanno dei segreti, tutti anelano in realtà una sola cosa, e di questo e altro abbiamo parlato proprio con la regista Michela Cescon.

occhi blu
Valeria Golino, la regista Michela Cescon e Ivano De Matteo al Taormina Film Festival per l’anteprima di Occhi blu. Photo by Antonio Parrinello

Michela Cescon, Occhi blu è un film sulla libertà.

Il termine che avevo in mente era rivincita, ma la libertà mi piace molto, quindi adottiamo questa visione. Il personaggio di Valeria prende continue vie di fuga in cerca di una liberazione, e gli incontri tra i personaggi scatenano una reazione che porta effettivamente alla loro libertà. Quindi sì, direi che è così.

Guardando il film avevo in mente Saramago. Il personaggio di Valeria Golino mi ha fatto venire in mente L’uomo duplicato e la riflessione sullo sguardo Cecità.

Ti ringrazio, è un regalo, magari Saramago, se c’è è inconscio, il fatto che tu lo abbia visto mi fa piacere. L’ispirazione maggiore arriva dal genere, sono un’appassionata di polar francesi e soprattutto di Jean-Pierre Melville, e poi di graphic novel. Volevo quelle atmosfere raccontando una storia essenziale, in cui non importasse la verosimiglianza, ma con tante cose che mi piacciono, forse troppe, ma dovevo capire se ho uno sguardo e se sono in grado di trovare una via. Quando si traccia un sentiero, non ci si preoccupa che sia ordinato, ma che indichi una direzione, e penso di averla trovata.

Infatti, se dovessi fare un appunto al film è che c’è troppo, ma è coerente con il concetto di libertà.

Assolutamente, e voleva essere un gioco, divertente anche, come lo è stato farlo, perché ci siamo potuti permettere cose che non sempre sono concesse nel cinema italiano, e per questo devo ringraziare il mio produttore, Carlo Degli Esposti e la Palomar, che si è preso anche dei rischi, mettendo insieme una squadra di grande talento.

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Era un rischio anche una protagonista dell’età di Valeria, per un ruolo del genere molti avrebbero scelto una trentenne, a me invece interessava, come dici tu, che fosse un personaggio libero, senza una definizione.

Lei cita Melville, e già basterebbe. Ma c’è anche Refn, il personaggio di Valeria sembra una versione femminile del pilota di Drive.

Hai ragione, viene proprio da lì, ed è il personaggio che fa il film e crea un mondo senza la necessità di spiegarlo. La storia è di sfondo, mentre il genere crea una visione. Ti puoi immaginare tante cose sul perché lei sia così, ma alla fine quello che ci interessa è guardarla da vicino, essere nella sua bolla e anche il pubblico lo farà se si abbandonerà alle regole del genere.

Ecco, il genere, che in Italia sta tornando prepotentemente.

Ogni volta che si parla di crisi del cinema, i generi arrivano in soccorso. Nel mio caso nasce tutto da un cortometraggio che avevo diretto e che era stato molto apprezzato a Venezia, e di cui era protagonista Valeria.

Decisi che se avessi fatto un lungometraggio avrei continuato con lei costruendo un personaggio con le regole del genere, lontano dall’autorialità che cercano gli attori che passano dietro la macchina da presa, e dal desiderio di darsi una grande opportunità in scena. Ho scelto qualcosa di diverso, di fare la regista che ama i suoi attori.

A proposito di attori, che sorpresa rivedere Jean-Hugues Anglade, protagonista di cult come Betty Blue.

Un film che amo moltissimo, e poi il suo personaggio ci stava tutto, quello del geniale poliziotto francese che arriva e risolve il caso, senza contare che la contrapposizione francese-italiano è uno schema classico di molti polar.

Quando ho iniziato a pensare al cast mi è venuto subito in mente lui. Sono andata a incontrarlo a Parigi e mi sono ritrovata davanti a quest’uomo e ho capito che era lui quello che cercavo, così cambiato, ingrassato, con la barba lunga, era già il mio commissario francese.

La domanda è d’obbligo: lei ha un particolare amore per la velocità?

Da giovane ho avuto un incidente andando in moto con un mio fidanzatino, da allora l’ho frequentata poco, ma ne sono sempre rimasta affascinata. Poi mi piaceva l’idea che fosse lo scooter il protagonista, non una moto. Mi sembra funzioni, sembra un apparecchio del futuro.

Mi ha svelato il perché all’inizio della conversazione. Lei ama i fumetti, le ricordava la moto di Kaneda in Akira.

È vero, è così. Ma guidata da una donna che non cade nei cliché contemporanei. Soprattutto non volevo che facesse tutto questo per rabbia. Se avessi girato il film qualche anno fa sarebbe stata così, e forse inizialmente lo era, ma poi si è trasformata in qualcosa di diverso. E oggi ne sono felice.