Riabbracciare Parigi, la recensione del film con Virginie Efira

Nel nuovo lungometraggio di Alice Winocour, l'attrice (Premio César per questa interpretazione) si cala nei panni di una sopravvissuta agli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Al cinema per Movies Inspired.

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Riabbracciare Parigi, il nuovo film di Alice Winocour presentato alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2022 e premiato col César alla performance di Virginie Efira (che aggiunge un altro ruolo intenso e sfaccettato alla sua sempre più ricca carriera) arriva nelle nostre sale per Movies Inspired a quasi otto anni dai drammatici fatti che lo ispirano: quegli attentati del 13 novembre 2015 legati allo Stato Islamico noto come Daesh o ISIS e che, in diversi luoghi della Capitale francese, fecero complessivamente 130 morti e oltre 400 feriti.

Una frattura storica con cui il cinema d’Oltralpe si è già misurato, ad esempio nel recente thriller di Cédric Jimenez November. Ma a Winocour (Augustine, Disorder, Proxima) non interessa raccontare indagini poliziesche, né analizzare cause e implicazioni politiche del terrorismo. Piuttosto, partendo dal suo vissuto autobiografico (il fratello è uno dei superstiti dell’attacco), lavora su ciò che la violenza (mostrata emblematicamente per frammenti parziali e in soggettiva) lascia dietro di sé, per riflettere sulle conseguenze di un evento traumatico, sui meccanismi della memoria e del senso di colpa, sulle distanze e sui nuovi legami che simili ferite creano, sul cammino per tornare, non senza fatica, alla propria vita. Anzi, a una nuova.

È il percorso dell’immaginaria protagonista Mia (Efira), traduttrice dal russo che il 13 novembre, al termine di una malinconica serata che sottende una potenziale crisi di coppia, si ritrova per puro caso in uno dei locali presi d’assalto. E, avendo rimosso quanto accaduto in quelle ore di angoscia ma non riuscendo a scrollarsene di dosso il peso, inizia a frequentare un’associazione formata da sopravvissuti e parenti delle vittime, che tornano volutamente a visitare i luoghi della tragedia, per elaborare e per avere informazioni sugli ultimi istanti di vita dei loro cari.

Tra chi cerca da lei notizie che non può dare e chi la accusa di essersi chiusa nel bagno durante gli spari impedendo ad altri di salvarsi (ma sarà vero?), Mia approfondisce la conoscenza di Thomas (Benoît Magimel), che al bistrot ha riportato seri danni a una gamba e ha perso tutti i colleghi con cui stava festeggiando il compleanno. Ma soprattutto, inizia ad affiorare nella mente della donna l’immagine di una persona che l’ha tenuta per mano e rassicurata mentre era nascosta temendo di morire. Un uomo di colore, un cuoco, di cui si sono perse le tracce.

Attenzione al titolo originale: Revoir Paris. Molto, forse tutto, in questo film ruota attorno al (ri)vedere e al suo antico legame col conoscere. Per Mia, la ricerca di colui che l’ha aiutata a sopravvivere non è solo un percorso di recupero dei ricordi e ricostruzione di un proprio equilibrio privato, ma l’apertura a una città e a un’umanità che prima, forse non aveva notato, o comunque non abbastanza. La Ville Lumière dei più marginali, dei più sfruttati, degli irregolari che non possono nemmeno rivendicare di essere sopravvissuto a una strage, perché essere visti significa rischiare le sanzioni dello stesso sistema che si regge su di loro: «Se a Parigi i senegalesi, i maliani e gli srilankesi scioperassero, non potremmo più mangiare», viene detto a un certo punto.

Rivedere Parigi”, allora, non è restaurare gli occhi (e paraocchi) del passato, ma liberare (anche cinematograficamente) lo sguardo in favore di una visione più ampia del reale. Ed è (anche, soprattutto) qui forse quel «diamante al centro del trauma» (nozione psichiatrica citata nel film), ovvero la possibilità, quasi scandalosa, di ricavare del positivo da un fatto terribile. Ciò che prova a fare il lungometraggio stesso, anche separandosi occasionalmente dalla prospettiva della sua protagonista per toccare altre esperienze e destini. Facendosi racconto collettivo, in un esercizio di (auto)riflessione che, da intimo, si fa sociale. Rimettendo in discussione più di una comoda certezza.

RASSEGNA PANORAMICA
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