La Sirenetta, la recensione del live-action di Rob Marshall

La nostra recensione del live-action del cartoon Disney del 1989, per la regia di Rob Marshall e con Halle Bailey nel ruolo in Ariel. In sala dal 24 maggio

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Ultimamente, vuoi per ecologismo, vuoi per meravigliare con i progressi digitali, i blockbuster hollywoodiani amano tuffarsi in mare: dopo il sequel di Black Panther all’insegna dell’incontro-scontro col Namor di Talokan, dopo il nuovo capitolo di Avatar che seguiva La via dell’acqua, e aspettando il ritorno di Aquaman, è il turno de La Sirenetta (dal 24 maggio nelle sale per The Walt Disney Company Italia), live-action del lungometraggio animato datato 1989 (tratto dalla fiaba del 1837 di Hans Christian Andersen) che col suo straordinario successo diede il via al celebrato “Rinascimento Disney”.

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La storia è nota: nelle profondità dell’oceano, la sirena Ariel, figlia minore del Re del mare Tritone, vorrebbe conoscere il mondo e gli abitanti della superficie, scontrandosi col divieto del padre. Spalleggiata dal pesciolino Flounder e malgrado le ramanzine del granchio Sebastian, la giovane s’innamora di Eric, un principe della terraferma che ha salvato da un naufragio. Ne approfitta la strega Ursula, che offre ad Ariel di diventare umana, ma a un prezzo molto alto.

Melissa McCarthy è Ursula in THE LITTLE MERMAID. Photo courtesy of Disney. © 2023 Disney Enterprises, Inc. All Rights Reserved.

Malgrado le tristi e pretestuose polemiche intorno all’etnia della protagonista, la performance della (brava) Halle Bailey, e in generale un cast convincente e ben assortito (dove brillano il Tritone del carismatico Javier Bardem e la prorompente villain Melissa McCarthy) è fra i punti di forza del nuovo La Sirenetta.

Senza contare che, con buona pace della woke-fobia diffusa, il prototipo di John Musker e Ron Clements era proprio un elogio del dialogo tra le culture oltre confini e pregiudizi, nonché il felice debutto di un’eroina moderna che cerca il suo amore e lo salva invece di essere cercata e salvata. Aspetti che gli spunti migliori della nuova sceneggiatura (firmata da David Magee) potenziano e attualizzano approfondendo il background dei personaggi.

Jonah Hauer-King e Halle Bailey in THE LITTLE MERMAID. Photo by Giles Keyte. © 2023 Disney Enterprises, Inc. All Rights Reserved.

Così, se la Regina Selina (Noma Dumezweni) accusa il popolo del mare di star «erodendo la terra dai nostri piedi, inglobandola nell’oceano», il sovrano subacqueo replica che «gli umani non hanno idea di quanti danni causano con i loro naufragi». Sono le nuove generazioni, desiderose di libertà e conoscenza, a ribadire, per bocca rispettivamente di Eric (Jonah Hauer-King) e Ariel, che «dobbiamo essere aperti all’ignoto: solo così l’isola crescerà» e che «come noi siamo dissimili, lo sono anche gli umani». Un messaggio che, oltre ad avere valore in sé (tanto più in epoca di xenofobia dilagante e coscienze militarizzate), è perfettamente coerente con lo spirito del classico di oltre trent’anni fa.

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Il rifacimento, peraltro, condivide i limiti di molti prodotti dello stesso filone: dalla trama derivativa (con alcune modifiche discutibili, come l’espunzione della divertente e “scorretta” sequenza de Les Poissons, o l’aggiunta di una didascalica canzone-monologo interiore dell’ormai muta Ariel) all’espressività dei personaggi animali che non regge il confronto con le versioni del cartoon (ne guadagnano, in inquietudine, solo anguille Flotsam e Jetsam). E, per apprezzare appieno il lavoro sui numeri musicali (specie quelli inediti), sarebbe necessaria la visione in lingua originale.

Lo spettacolo, comunque, si mantiene godibile, anche per merito del regista Rob Marshall, veterano del musical (suo il premio Oscar Chicago), ma anche delle fiabe (Into the Woods), che dà il meglio di sé quando si tratta di mettere in pausa il principio di realtà in favore dell’immersione tra le danze e le note dell’onirico e del fantastico. Lo supporta a dovere il ritorno di quasi tutte le canzoni di Alan Menken e Howard Ashman (i nuovi testi sono invece di Lin-Manuel Miranda), compresa la mitica In fondo al mar (premiata a suo tempo con l’Oscar assieme alla colonna sonora) che, sia cantata dall’attore-rapper Daveed Diggs o in italiano dal nostro Mahmood, non ci si stanca mai di ascoltare.

RASSEGNA PANORAMICA
VOTO
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