Agnieszka Holland apre il Tertio Millennio Film Fest con Green Border

La regista polacca ha presentato al Cinema Nuovo Olimpia di Roma il suo recente film (premiato a Venezia 80) Green Border, che sarà distribuito in Italia da Movies Inspired. Nella stessa occasione, Holland ha tenuto una masterclass e ricevuto il Premio Fuoricampo 2023

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«A me piacciono le controversie, perché ci spingono a pensare, e ad agire»: parola di Agnieszka Holland, ospite a Roma del XXVII Tertio Millennio Film Fest (organizzato da Fondazione Ente dello Spettacolo), che dal 14 al 18 novembre riunisce al Cinema Nuovo Olimpia film, nomi, volti sul tema “L’armonia delle differenze”. E la regista polacca (premiata a Cannes nel 1980 per Attori di provincia, candidata all’Oscar per Raccolto amaro e Europa Europa) non ha mai avuto paura di differenziarsi da ciò che voleva e chiedeva il potere: quello dell’autoritarismo sovietico e filosovietico che reggeva l’Europa dell’Est durante la Guerra Fredda (fu arrestata per aver preso parte alla Primavera di Praga) o quello dell’estrema destra che ha guidato di recente il suo Paese, col partito Diritto e Giustizia (PiS) al governo dal 2015 sino alle elezioni di poche settimane fa.

E del quale Holland ha sfidato la retorica e politica xenofoba col suo lungometraggio Green Border (Premio Speciale della Giuria a Venezia 80, in sala nel 2024 per Movies Inspired), che ha presentato al pubblico di Tertio Millennio nella masterclass moderata da Marina Fabbri, al termine della quale la regista ha anche ricevuto il Premio Fuoricampo. «Il tema delle migrazioni mi è sempre stato caro, sono stata un’emigrante anch’io», spiega la filmmaker, che tra le altre cose ha lavorato in Francia, Germania e negli USA (dirigendo anche attori come Ed Harris e Leonardo DiCaprio e serie tv come The Wire e House of Cards). Lo scenario di cui parla Green Border è però quello dei recenti, brutali respingimenti di uomini, donne e bambini da Paesi come Siria, Afghanistan, Iraq, Congo e Mali avvenuti in questi ultimi anni al confine tra Polonia e Bielorussia.

«L’emigrazione come destino, condizione naturale, esistenziale dell’uomo credo sia una cosa molto vera, autentica. Tutti siamo stranieri, però lo capiamo molto meglio quando ci troviamo in un altro Paese», afferma Holland, che ha raccontato la genesi della gravissima crisi umanitaria mostrataci nel suo ultimo lavoro. «Nel 2015 è cominciata questa ondata migratoria dalla Siria, ho visto che l’Europa aveva una paura terribile di questa migrazione, e tutti i dittatori e i populisti intorno a noi sentivano questa paura, sentivano il sangue. A quel tempo in Polonia praticamente non c’erano i migranti ma l’UE ha decise di fare i ricollocamenti per sollevare gli stati che erano maggiormente colpiti, cioè Italia e Grecia. Alla Polonia sono toccati 7000 migranti, come una grande sala di concerto piena». Non proprio numeri da emergenza, insomma, ma all’epoca il PiS, «che stava combattendo per vincere le elezioni, ne ha fatto il suo tema principale. E ha utilizzato una retorica che non avevo più ascoltato dai tempi del nazismo».

«Ha cominciato a dire», prosegue la regista, «che questi migranti avrebbero portato infezioni, malattie, degenerazioni che avrebbero minato la nostra comunità di polacchi bianchi. Secondo le statistiche, prima che iniziasse questa campagna il 70 % dei polacchi era favorevole all’accoglienza dei siriani emigrati, dopo due mesi di propaganda si era ridotta al 30 %». Di fronte alla crescita della destra xenofoba, «l’Europa si è impaurita» e, sottolinea sarcastica la regista, «l’idea più geniale che gli è venuta in mente è quella di vendere questi rifugiati ai dittatori che stanno ai confini esterni. Quindi abbiamo dato soldi alla Turchia o adesso alla Tunisia per tenerli da loro, diventando oggetto di ricatto».

È in questo contesto, afferma Holland, che l’autocrate russo Vladimir Putin, «insieme alla sua marionetta bielorussa Lukashenko», ha aperto «un nuovo corridoio vendendo visti ai rifugiati e organizzando dei voli per Minsk. Sembrava in effetti molto sicuro rispetto alle rotte che si fanno attraverso il Mediterraneo, dove la gente affonda e muore». Ma i malcapitati indotti a preferire la via tra Bielorussia e Polonia «si sono trovati all’improvviso in una zona di confine formata da una foresta: la polizia di confine aveva l’ordine di buttare questi rifugiati oltre il confine in Polonia e di non permettere che tornassero indietro, se tornavano indietro li torturavano».

Dal canto suo, «il potere polacco ha deciso di organizzare in quel posto un laboratorio di violenza. Hanno sigillato la zona, nessuno poteva entrare, né le organizzazioni umanitarie né i medici né i giornalisti. Tra questi rifugiati c’erano grandi nuclei familiari, perché pensavano che fosse un modo sicuro di affrontare la migrazione. Le autorità di frontiera polacche all’inizio gli davano anche dei sostegni come cibo e acqua per resistere, poi hanno avuto l’ordine di non avere scrupoli e respingerli verso la Bielorussia. Ed è iniziato così questo assurdo teatro della crudeltà tra una parte e l’altra».

Un'immagine di Green Border.
Un’immagine di Green Border.

Green Border ci mostra dunque le tragiche conseguenze di queste scelte su esseri umani di ogni età in cerca di rifugio da guerra e oppressione o semplicemente di una vita migliore. Ma mette in scena anche l’opposizione allo stato delle cose di parte della popolazione locale, in un territorio che al tempo dell’Olocausto vide la rivolta del campo di sterminio di Sobibór: «Erano scappate alcune centinaia di detenuti nascondendosi in quello stesso bosco, e con l’eccezione di alcuni nessuno è sopravvissuto alla foresta perché sono stati venduti dai locali. I loro nipoti e pronipoti hanno incontrato nella foresta persone molto simili, affamati, laceri… Uno shock, e bisognava scegliere come comportarsi: il potere diceva che l’aiuto era illegale, se procuravi aiuto a queste persone eri considerato un trafficante. Però alcuni si sono velocemente organizzati e a loro si sono uniti anche degli attivisti, e continuano questa attività senza sosta».

Holland, che ha rivolto un appello a sostenere economicamente questi volontari ormai a corto di fondi, narra perciò tutto questo nel suo film: «Naturalmente non abbiamo chiesto aiuto finanziario allo Stato, perché non avremmo ricevuto niente, anzi ci avrebbero ostacolato», specifica la cineasta, che ha scritto il Green Border con Maciej Pisuk e Gabriela Łazarkiewicz-Sieczko e lo ha diretto insieme a Kamila Tarabura e Katarzyra Warzecha (registe anche della recente serie Netflix Absolute Beginners), girando più scene parallelamente e ultimando la lavorazione in soli 25 giorni.

Per documentarsi, aggiunge, «abbiamo fatto dei viaggi e siamo andati a parlare con i locali, alla fine siamo anche arrivati alla polizia di frontiera che ha parlato con noi e ci ha raccontato, in modo anonimo, ciò che hanno sperimentato: gli incontri si facevano come se fossimo nella Resistenza della Seconda Guerra Mondiale, con maschere, occhiali neri, passamontagna. Ci hanno raccontato quello che hanno fatto, e mentre lo facevano piangevano. Ecco perché ho realizzato questo film».

L’ostilità del governo allora in carica, quando il lungometraggio è uscito nelle sale polacche dopo l’anteprima veneziana, era scontata. «Non hanno visto il film», ricorda Holland, «non volevano vederlo, il presidente Duda ha detto che non lo avrebbe fatto perché non voleva pagare il biglietto: quindi la gente ha cominciato a mandargli dei biglietti! Lui ha citato una frase che si sentiva durante l’occupazione, “Solo i porci vanno al cinema”, per boicottare gli spettacoli proposti dagli occupanti. In questo modo il presidente della Polonia ha infamato 750 mila polacchi che sono andati a vedere il film, chiamandoli “porci” con l’allusione ai collaboratori dei nazisti. Difficile immaginare una pubblicità migliore».

In effetti, il boicottaggio governativo si è tradotto in un forte movimento a sostegno del film: «Sono stati inventati meme, t-shirt, la gente andava al cinema con maschere a forma di faccia da maiale». Sostegno in cui s’inserisce anche l’invito e il riconoscimento del Tertio Millennio Film Festival: «Il fatto che questo premio sia venuto dal Vaticano li ha subito zittiti», ha osservato Holland, che al contrario nel suo Paese non gode dello stesso favore da parte del mondo cattolico, in buona parte vicino alle posizioni dell’ex governo di destra: «Io ho l’impressione che i cattolici in Polonia non siano cristiani, o comunque la maggioranza di loro, e sicuramente la maggioranza della gerarchia ecclesiastica».

Il cambio degli equilibri sancito dalle ultime votazioni autorizza comunque la regista a sperare in un cambiamento positivo: «Questo nuovo governo sarà sicuramente impotente, come tanti governi in Europa, di fronte al tema dell’immigrazione. Però quello che auspico è che, almeno, non ci siano odio e crudeltà, che cercheranno di risolvere i problemi in modo umano. Ciò che hanno passato i rifugiati, il calvario del loro viaggio, lo abbiamo potuto ascoltare dalle parole che ci hanno detto: “Su questo confine non c’è più umanità”. Ma gli attivisti che li hanno salvati gliel’hanno riportata, l’umanità, e salvando loro hanno salvato noi tutti».