Nella hall dell’albergo Mercure Croisette Beach la bella foto di Cate Blanchett che sembra un murales, è incastonata in una cornice ad arco di trionfo: Nostra Signora del Festival di Cannes, simbolo decisamente più laico che religioso. Perché poi in città occhieggia direttamente da varie vetrine: un negozio di scarpe, uno di gioielli, la pubblicità di una mostra fotografica. E raggiunge l’apoteosi nelle poche edicole superstiti di giornali, dove da sola, supera le cover complessive di tutte le sue colleghe messe insieme (al secondo posto Marion Cotillard e la rediviva Isabelle Adjani).
In 71 anni è solo la dodicesima presidente donna della storia, ma la media diventa un po’ meno umiliante partendo dal 1965, l’anno della pioniera Olivia De Havilland: 12 in 53 anni. Perché poi è toccato a Sophia Loren, Michele Morgan, Ingrid Bergman, Jeanne Moreau (due volte), Francoise Sagan, Isabelle Adjani, Liv Ullman, Isabelle Huppert, Jane Campion. Ha vinto due Oscar su sette nomination, è già stata anche produttrice (Carol), e si prepara a esordire come regista nella serie Tv Stateless. L’anno prossimo, proprio di questi giorni, diventerà la proverbiale “splendida cinquantenne”.
Fosse nata prima sarebbe stata sicuramente una delle bionde che hanno ossessionato Hitchcock, ma oggi farebbe ancora in tempo a interpretare la favola triste della principessa Grace di Monaco. È riuscita a rendere credibile perfino quello che invece dovrebbe essere un ossimoro, cioè “stile australiano”. E ha avuto il raro buon gusto di non insistere perché il suo ultimo film, Ocean’s 8, non fosse proiettato durante il “suo” festival a differenza di molti altri attori/registi direttori del passato. Insomma, viva Cate.
Marco Giovannini