CANNES69, LE PALME DELLA DISCORDIA

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“Ken il rosso” ha vinto la Palma d’Oro del 69esimo Festival di Cannes, con un film, I, Daniel Blake, che denuncia la povertà del mondo occidentale, le prepotenze del neoliberismo e il quotidiano eroismo di chi cerca di vivere e amare in un mondo che calpesta i più deboli. Alla sua seconda vittoria a Cannes dopo Il vento accarezza l’erba, dieci anni fa, Loach, che ha fatto versare lacrime di rabbia e commozione anche alla critica, ha ringraziato la giuria con aplomb tutto british (“siete stati molto gentili”) e poi si è lasciato andare ad amare considerazioni su un mondo arrivato a un punto molto pericoloso, sui rischi dell’estrema destra, sul paradosso di festeggiare un premio per un film che racconta il dramma di persone affamate. “Un altro mondo è possibile e necessario” conclude il regista, accolto da una vera e propria ovazione.

Il giovane canadese Xavier Dolan si prende invece la sua bella rivincita sulla stampa che ha trattato maluccio il suo Juste la fin du monde mettendo le mani sul Grand Prix della Giuria, e abbandonandosi a un lungo, commosso ringraziamento (un po’ compiaciuto, a dire il vero) per ricordare anche quanto sia difficile condividere con gli altri certe emozioni. E anche lui conclude con una frase a effetto: “Preferisco la follia delle passioni alla saggezza dell’indifferenza”.

E fin qui tutto bene, o quasi. Ken Loach e Xavier Dolan non hanno convinto del tutto, ma nel panorama festivaliero di quest’anno così generoso di delusioni, i premi ai loro film sono comprensibili. Benissimo anche i due riconoscimenti a The Salesman (Le client) dell’iraniano Ashgar Farhadi, che avrebbe meritato molto di più, ma che ha conquistato due premi importanti, quello per il miglior attore, Shahab Hosseini, che dedica la Palma al suo popolo, con tanto amore, e quello per la straordinaria sceneggiatura scritta dallo stesso regista. Meno interessante invece la scelta di consegnare la Palma per la migliore interpretazione femminile alla filippina Jaclyn Jose per Ma’Rosa di Brillante Mendoza, un premio ampiamente meritato quest’anno da Isabelle Huppert, protagonista del sorprendente Elle, ingiustamente ignorato dal Palmarés, così come anche il controverso Toni Erdmann della tedesca Maren Ade.

Bene pure il premio della regia a Bacalaureat di Cristian Mungiu, che però ha dovuto condividerlo ex aequo con il deludente Personal Shopper di Olivier Assayas. D’altra parte i francesi non potevano rimanere a bocca asciutta ed è toccato a Mungiu, visibilmente scontento, fare un po’ di spazio alla cinematografia padrona di casa, che si è autocelebrata anche con la Palma d’Oro alla carriera al logorroico Jean-Pierre Léaud. Pessima infine la decisione di assegnare il Premio della Giuria ad American Honey di Andrea Arnold, uno dei film più detestati del Festival, che dietro un’apparente libertà di messa in scena nasconde l’incapacità di mettere davvero a fuoco una generazione “scappata di casa”, senza tetto, legge né ideali.

Alessandra De Luca