Da dove vogliamo iniziare? Iniziamo dalla fine. Da quel corpo innevato, reso silente e immobile dalla più tenera delle piogge, dalla più candida delle manifestazioni naturali: la neve.
Cominciamo da quel corpo finalmente inoffensivo, schiantato dalla complessità di un labirinto. Perché Teseo ne uscì, dopo aver ucciso il Minotauro, solo grazie alla sapienza di Dedalo che gli fornì gli strumenti per ritrovare la strada della salvezza. Ma il Minotauro moderno, il malefico Jack Torrance, non poteva che finire lì. Non era stato concepito, il male assoluto, dall’accoppiamento di una donna con un toro bianco ma dalla durezza della solitudine, dalla alienazione di una vita modesta e dalla magia di un luogo stregato. Raggela, più ancora della copiosa messe di neve che riempie lo schermo nell’ultima sequenza, l’inquadratura finale, l’istantanea del Ballroom dell’albergo scattata il 4 luglio del 1921 nella quale Jack Torrance sorride al fotografo. Tutto il film è una esplosione assoluta di genialità, a cominciare dall’ambiente, quell’Overlook Hotel che è diventato un incubo dell’immaginario di chiunque abbia visto il film di Kubrick. La lenta trasformazione di Torrance – Nicholson nel Minotauro è davvero impressionante e raggelante.
La mitica sequenza della macchina da scrivere, «Il mattino ha l’oro in bocca», l’accetta piantata nella porta del bagno, i dialoghi col barman morto, le gemelle che si tengono per mano, la pallina da tennis nel corridoio, il fiume di sangue che sgorga dagli ascensori. Nessun essere umano può uscire indenne dalla visione di Shining. Forse, attraverso vie inconosciute, la storia del film mette alla prova paure ancestrali: la solitudine, l’isolamento, la follia degli altri, la minaccia alla famiglia. Tutte le paure, tutte insieme. La forza di questa storia è nella sua ambientazione straniante, nella interpretazione di due attori magnifici, con facce e sguardi da brividi nel sottofondo di magia irrazionale che la “luccicanza” porta con sé. Ma Shining è anche una pietra miliare nella storia della tecnica cinematografica: pensiamo solo all’introduzione della steady cam con la quale il regista segue la pedalata del triciclo del piccolo Danny che solca i corridoi di quell’albergo in cui ogni stanza che si affaccia può essere un laboratorio dell’orrore. Ciascuno si è trovato in una soggettiva emotivamente devastante, come messo alla prova delle proprie paure più profonde. Chi non ha visto Shining vive peggio degli altri e, se non sta attento, può perdersi in un labirinto.