Il ‘Grande fratello’ nazista di Jonathan Glazer alla Festa di Cinema di Roma 2023

Il film La zona di interesse al centro delll'incontro con il regista britannico

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Jonathan Glazer La zona di interesse

Dopo quelli con Shigeru Umebayashi (qui la cronaca) e Isabella Rossellini gli incontri promessi dalla Festa del Cinema di Roma 2023 continuano con quello – molto atteso – con il filmmaker londinese Jonathan Glazer. Prodotto da A24 e Extreme Emotions, avevamo recensito al Festival di Cannes il suo ultimo incredibile film, La zona d’interesse (The Zone of Interest), che uscirà nelle sale italiane il 18 gennaio 2024 – distribuito da I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection – e che è al centro di un interessante appuntamento con il pubblico.

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A dieci anni dall’ultimo Under the Skin con l’aliena Scarlett Johansson, e dopo i primi due film ormai risalenti all’inizio del millennio – Sexy Beast (2000) e Birth – Io sono Sean (2004) – l’augurio di tutti è che la filmografia di questo cineasta possa regalare ancora titoli altrettanto interessanti, e arricchirsi quanto prima di nuovi film. Che il regista prepara e realizza con grande cura, facendo ricerche accurate e mettendo i suoi attori sotto lo sguardo di più macchine da presa (dieci per The Zone of Interest, ‘solo’ otto per Under the Skin).

Sin dalla prima inquadratura, però, lo spettatore è privato delle immagini, con uno schermo bianco che “criticamente era il modo con cui volevamo dire di ascoltare prima la musica, che fosse il suono a guidare – dice. – Così che quando arrivano le immagini abbiate già fatto un vostro viaggio che vi ha portati da qualche parte“.

La destinazione è però quella della casa della famiglia Höß – il comandante del campo di concentramento di Auschwitz Rudolf, sua moglie Hedwig e i loro cinque figli – teatro di un film politico, come “quelli di grandi artisti prima di me, il cinema che amo” che offre un modo inedito di tornare a parlare dell’Olocausto.

Era un tema già presente in profondità dentro di me, a qualche livello – racconta Glazer. – Sapevo che prima o poi lo avrei fatto, ma sinceramente non so ancora il perché“. “Sapevo di non voler realizzare un film da museo, da guardare a distanza – continua. – In un certo senso ho rappresentato la realtà del mondo in cui viviamo, per mostrare a noi stessi che siamo in grado di fare le stesse cose abominevoli”. “E non credo ci sia nessuna bussola morale nel film, non c’è redenzione nei comportamenti della madre o della figlia – spiega. – Quel che dissi all’attrice è che era solo come andare a comprare una bistecca al supermercato senza voler vedere che la mucca viene uccisa”.

Jonathan Glazer La zona di interesse

Non c’è un dispositivo documentaristico, – spiega ancora il regista. – Io per primo avevo bisogno di credere a quel che facevano gli attori. Se io credo a ciò che sto guardando, anche il pubblico lo farà. L’intenzione era di creare una distanza critica tra spettatore e soggetto per mostrare le azioni che compiono i personaggi senza essere coinvolti nelle loro psicologie. Mi interessavano le situazioni più che creare le scene. Tutto è reale, a volte avevamo anche 19 microfoni sul set per registrare quel che accadeva, e abbiamo usato sempre la luce naturale, a parte una sola scena”. “Piuttosto mi ero impegnato molto per restare aderente allo script, – confessa Glazer, – ma dal primo giorno, dalla prima inquadratura, tutti hanno iniziato a improvvisare. E non puoi impedirlo. Per fortuna ero circondato da persone molto interessanti”.

Una modalità analoga di approccio non finzionale Glazer l’ha usata anche nel già citato Under the Skin, nelle scene del van, dove “la troupe era nascosta nel retro e io dicevo a Scarlett Johansson cosa fare attraverso un auricolare. Era come scrivere un film girandolo – aggiunge ancora. – Ma c’è sempre una connessione tra le scelte e la metodologia utilizzata. Cerco sempre la forma perfetta per l’idea, e passo del tempo con gli attori, per aiutarli quando si perdono e mostrano fragilità. Sono attratto da questi momenti“.

“Con Scarlett, e prima con Nicole Kidman (in Birth), l’approccio è stato quello di privarle dell’immagine cui erano legate, di icone sensuali – ricorda del lavoro fatto con le due star, concentrandosi su quest’ultima in particolare. – E’ una collaboratrice di primo livello, è molto ricettiva. Vuol essere esplorata, fare qualcosa che la spaventa, che non hai mai fatto prima“. “All’epoca era una delle persone più famose al mondo, e non volevo ingaggiarla, ma ho lavorato molto contro la percezione che si aveva di lei, a scomporla e ricostruirla. Liberarsi di tutto quel che portava con sé e farne qualcosa di nuovo, e fresco – aggiunge. – Un approccio soprattutto mentale, lo stesso che ho usato con Scarlett“.

Tornando al film, che definisce una sorta di “Grande fratello in una casa nazista”, c’è spazio anche per il romanzo omonimo del 2014 di Martin Amis dal quale si è partiti. “Una lettura feroce – la definisce Glazer. – Con il produttore ne abbiamo parlato a lungo, poi ho portato avanti la mia ricerca. Dalla quale sono emerse delle persone comuni, noiose, grottescamente familiari. Perfette perché tutti trovassimo delle similitudini con loro“.

Jonathan Glazer La zona di interesse