Pesaro 59: intervista a Elisabetta Giannini, regista di Sognando Venezia, con Francesco e Morena Di Leva

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«Un po’ impaurita, ma felice» si definisce Elisabetta Giannini all’idea di presentare il suo corto d’esordio, Sognando Venezia, alla 59ma edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema – Pesaro Film Festival il 18 giugno nella Piazza del Popolo della città marchigiana. Diplomata al Centro Sperimentale di Cinematografia e selezionata nel programma Becoming Maestre, promosso dall’Accademia David di Donatello e Netflix, Giannini racconta in questo lavoro la storia del rapporto tra un padre e una figlia, ovvero Fabrizio e la tredicenne Vittoria, cui il genitore “regala” un viaggio sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia, che la ragazzina vorrebbe usare come trampolino di lancio per diventare influencer.

A interpretare i protagonisti abbiamo il pluripremiato Francesco Di Leva e sua figlia Morena. Il corto è prodotto da Marechiarofilm. Abbiamo intervistato la regista, che tra i suoi riferimenti ha tenuto conto dei classici (Bellissima di Luchino Visconti) e dei moderni (Reality di Matteo Garrone), senza dimenticare gli insegnamenti della madre, la filmmaker e produttrice Antonietta De Lillo: «Mi ha sempre detto: “Quando scegli dove mettere la macchina da presa, devi sempre pensare a cosa stai raccontando”».

Quando e come nasce questo progetto?

Nasce a fine 2020, quando casualmente, girando su internet, ho trovato un sito di “aste per esperienze”: una cena con il calciatore, cose del genere. Fra queste, c’era anche il red carpet a Venezia, e mi aveva colpito molto il fatto che non dicesse per quale film fosse. Io sono stata a Venezia accompagnando mia madre quando era in giuria, e ho sempre visto il red carpet come un riconoscimento per il lavoro svolto. Il fatto che sul sito non avesse questo valore mi aveva molto incuriosita. Quindi, insieme a Fabiana Bosco [produttrice esecutiva del film, NdA], Alessandro Logli e Mara Fondacaro [co-sceneggiatori, NdA], abbiamo cercato di immaginare chi potesse “comprare” un’esperienza del genere.

Una cosa che colpisce, di Sognando Venezia, è il modo in cui racconta una realtà per certi versi inquietante, come l’importanza totalizzante che assume per molti giovani la popolarità sui social media, scegliendo però di farlo con l’ironia.

È il tono che in generale preferisco. E poi, quando abbiamo iniziato a scriverlo, forse perché eravamo appena usciti da una pandemia, c’era più voglia di ridere che di disperarci. Inoltre, ci tenevo molto che non fosse un’opera giudicante verso i nostri protagonisti. Volevo ridere con loro, in questo gioco tra padre e figlia, senza spingere troppo sul versante drammatico.

E, nel gioco di finzioni del film, emerge tra l’altro l’autenticità del rapporto fra i due, che riflette la notevole complicità tra gli interpreti Francesco e Morena Di Leva.

Sì, c’è stata anche un’ulteriore fase di scrittura dopo il loro coinvolgimento. Li ho scelti perché, quando ancora non sapevamo se avremmo effettivamente realizzato il progetto, ho scoperto  sui loro account social un video in cui giocavano insieme: lì ho capito che dovevo avere loro! Morena poi è stata fondamentale, perché noi benché giovani eravamo già “vecchi” per un social come TikTok, lei ci ha aiutato a dare una “rimodernata” al corto, dandoci spunti ancora più reali. E lavorare con Francesco è stato fantastico: è stato capace di aiutare ma anche di ascoltare.

Il corto ci ricorda anche, per certi versi, la crisi del divismo come lo intendevamo un tempo in favore di un sistema ognuno è “star” della propria bolla social.

Già, ora è come se tutti quanti noi avessimo un piccolo palcoscenico su cui esibirci, col rischio che diventi “maniacale” questo voler mostrare ogni parte della propria vita. Nel divismo tradizionale c’erano comunque degli spazi “privati”.

Tra le scelte stilistiche più interessanti, quella di far guardare i protagonisti in macchina rivolgendosi ai loro spettatori. Ci avevi pensato da subito?

Sì, era l’idea alla base, volevo che il mezzo cinematografico “diventasse” il social, senza una separazione, ad eccezione del finale. Per questo non cambio nemmeno il formato, volevo creare un senso di continuità.