INTERVISTA A PAOLO MITTON, REGISTA DI “THE REPAIRMAN”: IN SALA, CON SUCCESSO, DOPO TRE ANNI

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the repairman8A tre anni dalla sua realizzazione e altrettanti festival cinematografici alle spalle, è uscito nelle nostre sale lo scorso 26 febbraio The Repairman (qui la recensione), riuscito esordio del torinese trapiantato a Londra Paolo Mitton che, grazie anche al passaparola tra gli spettatori, come già era avvenuto per Fuoristrada di Elisa Amoruso, sta riscuotendo consensi e plausi in tutta Italia. Distribuito da Cinema, in collaborazione con Slow Cinema, il film racconta la storia di Scanio, trentenne goffo e trasognato con una mancata carriera da ingegnere alle spalle e un lavoro/passione come riparatore di macchine del caffè, che tra ironia e piccole tragedie del quotidiano cerca di trovare il suo equilibrio nonostante l’ingerenza di amici e fidanzata che lo vorrebbero realizzato e compiuto. Abbiamo intervista il regista, in questi giorni impegnato in Italia per la promozione del film.

Paolo Mitton, ti aspettavi un tale successo, fatto anche di passaparola tra gli spettatori, a tre anni dalla realizzazione del film?
Beh no, non me l’aspettavo assolutamente perché tutto è iniziato un po’ per scherzo. Ho iniziato a scrivere il film con Francesco Scarrone per provare un’esperienza nuova ma quando abbiamo iniziato a girarlo, avendo ancora meno mezzi di quelli che poi ho avuto alla fine, consideravamo l’esperienza una prova per scoprire finalmente cosa succedeva quando si passava dalla sceneggiatura al girato. Abbiamo iniziato girando un film fra amici e poi le cose sono diventate sempre più grandi, pur rimanendo ultra indipendenti. Poco a poco ti abitui all’idea che hai fatto veramente un film, aspettandoti anche che esca in sala. Forse però non mi aspettavo che una volta uscito andasse subito così bene.

The-Repairman-Web-PosterQual è stato il tuo approccio al cinema? Come sei approdato dietro la macchina da presa?
È una gestazione un po’ lunga e strana e anche tardiva: sono sono laureato in Ingegneria al Politecnico di Torino e poi sono andato in Belgio e Francia a lavorare nelle telecomunicazioni e nell’ufficio di Parigi non avevo colleghi. Non conoscevo nessuno e in una metropoli come quella mi annoiavo lo stesso, così la sera andavo al cinema. A Parigi ci sono questi cinema d’essai dove proiettano retrospettive e ho iniziato ad avvicinarmi al cinema d’autore. Avevo bisogno, in quel momento, di trovare qualcosa di stimolante perché il lavoro era noioso e mi sono detto che volevo provare a fare un film. Era il 1999: è chiaro che le cose non si fanno in un attimo, non è facile cambiare vita in un secondo, ma adesso siamo qua.

Al centro del film c’è Scanio, trentenne stralunato con una mancata carriera di ingegnere alle spalle e riparatore orgoglioso di macchine del caffè, che fatica a vivere al ritmo del mondo che lo circonda. Quanto c’è di lui in te e nel co-sceneggiatore Francesco Scarrone?
Beh c’è molto nel carattere ma poco nella vita: io faccio una vita molto diversa e Francesco non sa riparare neanche una lampadina (ride ndr) però come Scanio pensiamo con la nostra testa e non ci facciamo influenzare da questa generazione che ha avuto una predisposizione verso un progresso fine a sé stesso. Il progresso deve essere qualcosa che migliora le persone, non servire solo ad arricchirsi. Ecco, in questi valori e in questo atteggiamento siamo sicuramente dalla parte del personaggio. Scanio però non è un eroe, anche lui ha le sue debolezze, si fa cogliere per un momento dalla smania del successo per dimostrare agli altri che anche lui ha dei numeri.

The Repairman è interamente girato nelle campagne torinesi che ricordano però anche atmosfere anglosassoni. Lo stesso vale anche per il taglio registico e l’umorismo, a tratti no sense, del film. È voluto proprio per rendere il film appetibile ad un numero più ampio di spettatori o è dovuto al fatto che tu vivendo in Inghilterra con il tempo hai assorbito quelle atmosfere?
Sicuramente non ho pensato al pubblico perché il progetto è nato tra amici senza scopi commerciali. La cosa deriva proprio dal fatto che abitando in Inghilterra da tanti anni, e avendo io un debole per la cultura americana e il cinema statunitense pre anni ’80, ho unito il senso dell’humour che c’è in Inghilterra e il fatto di essere venuto in Italia con un direttore della fotografia inglese, David Rom, che mi ha permesso di osservare il paesaggio da cui provenivo con un occhio esterno.

The RepairmanThe Repairman è stato presentato in tre festival cinematografici, dal londinese Raindance allo Shanghai Film Festival passando per il nostrano TFF. Che tipo di accoglienza ha ricevuto il film in tre contesti molto distanti tra di loro?
L’accoglienza è stata ultra positiva in tutti e tre i Festival e c’era il tutto esaurito ad ogni proiezione, ma ho notato che tra Inghilterra e Italia è anche simile l’umorismo mentre in Cina ridevano in punti diversi del film: l’ho trovato interessante perché forse deriva da una cultura diversa.

Hai lavorato come tecnico degli effetti speciali in grandi produzioni inglesi ed americane (Troy, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban e La fabbrica di cioccolato). Credi che questa tua esperienza lavorativa ti abbia influenzato, anche solo visivamente, nella realizzazione del film?
In realtà no, perché i film su cui ho lavorato non sono autoriali, non cercano un’estetica simile a quella presente nel mio film. Il fatto di averci lavorato, però, mi ha aiutato a far convergere le immagini che avevo in The Repairman, magari migliorandole con degli effetti speciali non esagerati: non ci sono esplosioni, robot o mostri, le cose che facevo quando lavoravo lì, però ci sono degli effetti naturali, più che speciali, realizzati al computer, che mi hanno permesso di girare con il mio stile, con delle inquadrature espressive, autoriali, ma sfruttando degli effetti speciali in alcuni casi.

Come hai scelto l’attore protagonista, Daniele Savoca, che ha dato voce e corpo a Scanio? Avete lavorato insieme sul personaggio o gli hai dato carta bianca per quanto riguarda la costruzione della sua goffa fisicità che quasi ricorda un giovane Vinicio Capossela?
Sia io che Francesco avevamo un’idea chiara di cosa volevamo e di cosa cercavamo. Sapevamo che Daniele Savoca era un bravo attore di Torino e abbiamo cercato su internet per vedere se c’era qualcosa di suo. Casualmente da cinque giorni aveva messo su Youtube un video in cui parlava davanti alla telecamera liberamente, con capelli e barba lunghi, esattamente come ci immaginavamo il personaggio. Io ho dato carta bianca a Daniele per quanto riguarda la fisicità però lui mi ha detto che leggendo la sceneggiatura già capiva come si muoveva Scanio: la sceneggiatura poi è anche cambiata e si è in parte costruita intorno al suo lavoro.

Stai lavorando ad una nuova sceneggiatura o sei ancora impegnato nella promozione di The Repairman?  
In questo periodo sono molto impegnato, ma ho già qualcosa allo stadio di sceneggiatura da terminare e che in realtà avevo iniziato già prima di questo film . La prossima cosa da fare, anche se in questi giorni mi è impossibile, è proprio finire quello su cui avevo iniziato a lavorare.

Manuela Santacatterina