“Last Flag Flying”: lacrime e risate nel nuovo film di Richard Linklater

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Può un film, pregno di humour e bagnato da lacrime mai scontante, essere contemporaneamente un inno alle anime (pure) degli Stati Uniti ma anche una ferocissima accusa su cosa, la stessa America, sia diventata guerra dopo guerra, dal Vietnam al Golfo, rimbombando nel maledetto settembre del 2001 e nello sbarco in Iraq, senza essere mai contraddittorio con se stesso, con i suoi personaggi e con la sua narrazione? Ci riesce Richard Linklater in Last Flag Flying – ideale sequel di L’ultima Corvè del 1973 diretto da Hal Ashby, nonché adattamento del omonimo romanzo scritto da Darryl Ponicsan uscito nel 2005 – , presentato alla Festa del Cinema di Roma, che ci racconta la storia di un uomo, Larry, interpretato da un dignitoso e dilaniato Steve Carell (che si conferma, probabilmente, il più grande attore della sua generazione, capace come pochi di saper far ridere e anche piangere), che, venuto a sapere della morte di suo figlio sul fronte iracheno, va a trovare i propri ex compagni di trincea nel Vietnam chiedendo loro un sommesso aiuto. Uno dei due veterani è Sal, con il volto di un formidabile e potente Bryan Cranston, e l’altro è Mueller, impersonato da un altrettanto eccezionale Laurence Fishburne. I tre, insieme dopo decenni, a ricordare il tempo andato e provando a non far uscire i tanti, troppi scheletri nell’armadio, si mettono in viaggio, con la salma del defunto soldato, per dar lui la sepoltura più giusta, che sia quella di un valoroso marine o del più semplice ragazzo.

 

E Linklater, che come pochissimi è capace di raccontare un dramma collettivo o la storia contemporanea in chiave intima e catartica, che la vicenda si svolga nell’arco di un tramonto o di dodici anni, ci presenta questi tre indimenticabili personaggi completamente opposti tra loro, eppure capaci di rappresentare un tutt’uno completo: possono essere addirittura, se scendiamo in profondità e negli ostici terreni della psicoanalisi, l’Io, l’Es e il Super Io. Oppure, e forse è il senso che il regista di Boyhood ha voluto dare, tre facce parallele degli Stati Uniti: irrefrenabili eppure malinconici, redenti ma oscuri, sconfitti ma sempre pronti a rialzarsi. Come detto, in sequenze che alternano la più potente delle commozioni alle più dirette risate, non manca la critica, diretta, agli USA contemporanei, dove le guerre portano via l’anima ad un padre prima che ad una nazione, troppo spesso schiava della sua storia e dei suoi errori. Ma, al netto di frecciate sapientemente indirizzate – la storia si svolge nel 2003, ma non mancano palesi riferimenti a ciò che sta accadendo negli States dalla notte del 8 novembre 2016 – Last Flag Flying è soprattutto il percorso di uomo ferito dal dolore composto ma distruttivo, mitigato dall’amicizia ritrovata di due spiriti-guida, in grado di far toccare il sacro al profano e viceversa. Così che quella bandiera a Stelle e Strisce, macchiata da troppo sangue, torni ad essere ripiegata con estrema, commossa e nobile delicatezza.

Damiano Panattoni

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