RIVOLUZIONE QUEER: IL SUNDANCE CAMBIA REGOLE AL CINEMA SULL’IDENTITÀ DI GENERE

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Dal Sundance Film Festival arriva la rivoluzione del cinema queer: i film sull’identità di genere prendono nuove strade. A partire da Tangerine di Sean Baker, girato tutto con un iPhone 5S, e The D Train con Jack Black

Tangerine
Tangerine

L’aroma di mandarino in un taxi per le strade di cartone (o cartoon) nell’inverno di Los Angeles – “no transgender’s land” (non è terra per trans) – strappa a colpi di slang, “bitch” e Beethoven fuso all’hip hop, il velluto rosa del cinema LGBT. Via il deodorante omologato, la fabbrica tessile dei cliché, il travestí da palcoscenico, l’Un Due Tre di Billy Wilder, John Waters, i parrucconi chirurgici. Dal retrovisore del taxi di Tangerine, l’ultimo film a basso costo di Sean Baker, girato per intero con un iPhone 5S dotato di adattatori anamorfici, si snoda uno dei più lucidi manifesti del Sundance Film Festival: non esiste (più) un cinema queer, gay, lesbico, trans monodimensionale. Il perturbante, il comico, il gesto politico, oggi, hanno la carica elettrica di una fiaba a suon di borchie e crack.

Due sono le prostitute transgender alla ricerca di se stesse, nell’intersezione acida tra Highland Avenue e Santa Monica Boulevard. Due “male-to-female”, due uccelli del Paradiso: Alexandra (Mya Taylor) e la migliore amica Sin-Dee Rella (Kiki Kitana Rodriguez) a caccia del fidanzato protettore di Sin-Dee, reo di essersi concesso a una “white fish” che batte nei motel, e con la quale è aperto un regolamento di conti all’ultimo strappo di capelli, biondi. La sezione Next del Sundance non solo ci presenta un film provocatorio e “juicy”, succoso, ma accoglie e racconta la fine di un unico cinema di genere LGBT. Tutto si mescola – Tangerine potrebbe essere un Canto di Natale, un Collateral timbrico, un videotape truccato col digitale, un road movie – e la sensazione è che gli ingombri di certe strutture narrative, a cui siamo abituati, finalmente si streccino: organi, mani, lucidalabbra, smalti, bocchini in un autolavaggio…

The D Train
The D Train

Candida libertà anche nel segmento “bromance” (brother + romance) che illumina The D Train, commedia dark (il debutto di Jarrad Paul e Andrew Mogel) in cui Jack Black, sfigato cronico, tenta di salvare la mitica reunion del liceo, assicurandosi la presenza della celebrity della classe (James Marsden). Quando l’anti-eroe di School of Rock lascia Pittsburgh, moglie, figli, lavoro, per recuperare la star dell’high school (tutto quello che sappiamo di lui è che fa il bagnino nella pubblicità di Banana Boat) le cose, da spassoso viaggio-business, prendono un sorprendente detour. Oliver (Marsden) è segretamente un fallito. Scarrozza il grassissimo Dan (Black) per le stelline di Hollywood, gli passa un po’ di coca, lo infila in locali ipertrendy dove finge di conoscere Dermot Mulroney. Poi se lo porta a letto: Oliver è dichiaratamente bisex, Dan dichiaratamente ubriaco e gonfio d’entusiasmo. Tra i due non subentra la canonica scena di seduzione: per Oliver, Dan è il suo “buddy” per una notte. Bacio, scopata, risveglio con un chicco d’imbarazzo. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, tra amici. L’effetto “gay panic” quindi è trattenuto, così come accade negli scambi di coppia di The Overnight (sempre al Sundance) o nelle serie tv Humpday e Transparent. La moda del ridere del taboo è morta. Certo, in Dan poi si mescolano tante emozioni: trauma, paranoia, vergogna, rabbia, gelosia… Ma non sono demoni da Funny People o da Comedy Central. È un onesto trasporto d’amore per l’amico finto-star. Il film prende in giro il nerdismo di Dan, non il suo attaccamento ad Oliver (che nel frattempo dimentica la scappatella e porta in casa dell’amico le sue conquiste). E se Tangerine mette in lavatrice la parrucca di una delle due prostitute trans e le lascia entrambe a scalpo nudo sotto le luci del neon, The D Train dimostra che il senso, enigmatico, di un’amicizia singhiozzante e angosciosa, può anche prendere la piacevole curva di due mutande e di due magliette, una da fisico bestiale, l’altra XXXL. Il vero mostro non sarà certo la scoperta di una fratellanza d’amore, ma l’annaspare dietro quel bel sentimento chiamato “bi-curiosità”. Insomma, tutto quello che volevano fare James Franco e Seth Rogen in The Interview, e hanno scelto di hackerare. Bromance rimandata al prossimo attacco coreano.

Filippo Brunamonti