STORIA DI BALTASAR – L’UOMO CHE VIENE DAL FREDDO

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Darren Aronofsky, George Clooney, Mira Nair, Alfonso Cuaron, Alejandro Gonzalez Inarritu, Baltasar Kormakur. Trovate l’intruso. I registi dei film che hanno aperto la Mostra di Venezia nella nuova decade sono tutti noti al pubblico più cinefilo ed esigente: l’anti-intellettualismo di Black Swan avrà pure irritato la platea più snob ma Aronofsky si era già conquistato la sua bella fetta di pubblico veneziano con The Wrestler; il Clooney dietro la macchina da presa aveva convinto tutti con Good Night and Good Luck; Mira Nair aveva già vinto il Leone d’oro con Monsoon Wedding e Cuaron aveva scandalizzato ma emozionato con Y tu mama tambien; per non parlare di Iñárritu, amatissimo ovunque, da Los Angeles a Cannes. Quest’anno tocca a Everest dell’islandese Baltasar Kormákur aprire le danze. Di chi?! Se il cinefilo più allarmato dà un’occhiata alle sue ultime prove potrebbe irritarsi: Contraband e Cani sciolti sono due action movie con Mark Wahlberg, uno dei maggiori sex symbol degli anni Novanta, attore palestrato e dedito a superproduzioni hollywoodiane, ma, attenzione, anche uno dei volti preferiti da James Gray e David O. Russell.

Mark Wahlberg ha voluto e prodotto Contraband, il terzo film americano di Kormakur dopo A Little Trip to Heaven (2005) e Inhale (2010), due thriller mediocri passati inosservati: il primo finito direttamente in home video, il secondo un flop al box office americano che ha incassato poco più di quattro milioni di dollari. Contraband è il remake di un misconosciuto film islandese del 2008 ed è uno degli action più avvincenti degli ultimi anni: ritmo indiavolato, scene d’azione sontuose, atmosfere avvolgenti e inquietanti tra New Orleans e Panama. Il merito è di Baltasar Kormakur, che dirige in modo prodigioso. Nel 2013, l’anno successivo, il suo Cani sciolti è il film d’apertura del Festival di Locarno: il risultato è un buddy movie della miglior specie, tra gigionismi spassosissimi di Denzel Washington e Mark Wahlberg (ancora lui) e inaspettate riflessioni adulte sulla corruzione delle istituzioni. Cani sciolti va bene al botteghino, non benissimo, e il motivo è che non si tratta proprio del classico prodotto americano da fracasso, tutt’altro. Le recensioni di riviste come Entertainment Weekly e Variety sono inaspettatamente positive per un poliziesco sulla carta un po’ vecchio stampo, ma godibile come un bell’episodio di Arma Letale e con passaggi oscuri e crudi come Vivere e morire a Los Angeles.

A questo punto, il cinefilo esigente potrebbe aver voglia di curiosare nella filmografia islandese di Baltasar Kormakur, precedente alle esperienze d’Oltreoceano. Avrà modo di scoprire, così, due perle come Il mare (2002), solido e rigoroso dramma famigliare, e soprattutto l’esordio cult di Baltasar 101 Reykjavik (2000) con una magnifica Victoria Abril che interpreta un’insegnante di flamenco lesbica rimasta incinta dal figlio della compagna. Il film dello sconosciuto cineasta che viene dal freddo entusiasma il pubblico di Locarno e Toronto, vincendo premi, e getta una luce nuova sulla cinematografia islandese, fino a quel momento del tutto ignota fuori dall’isola. Sempre dall’Islanda, infatti, si riveleranno al pubblico internazionale Dagur Kari e il suo Nói albínói (2003), vincitore del Festival di Rotterdam, e Rams di Gra­mur Hakonarson, vincitore quest’anno della sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes.

Se Mark Wahlberg non avesse mai voluto fortemente Contraband, la 72ma Mostra del Cinema di Venezia non sarebbe stata aperta da Everest e Baltasar Kormákur sarebbe rimasto soltanto un esotico cineasta islandese, che ha realizzato due bei film che parlano della sua terra, per poi trasferirsi in America e limitarsi a essere un mestierante per film da noleggio. Forse, Baltasar non avrebbe mai potuto dirigere un cast di stelle con Jake Gyllenhaal, Keira Knightley, Robin Wright e Josh Brolin. E nessun cinefilo duro e puro si sarebbe mai incuriosito al cinema d’Islanda. Morale: viva Wahlberg.

Emiliano Dal Toso