Damien Chazelle: «Oggi a Hollywood tanta paura e conformismo»

Il regista ha presentato a Roma il suo nuovo lungometraggio Babylon, in uscita per Eagle il 19 gennaio. E sulle reazioni negative al film negli USA: "Era importante che fosse uno shock"

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Credits: Claudia Giampaolo

«La mia aspettativa era di realizzare un film che fosse controcorrente, per questo c’è voluto tanto a farlo e a trovare qualcuno che si convincesse a sostenerlo». Così Damien Chazelle, il regista premio Oscar per La La Land, parlando del suo nuovo lungometraggio, Babylon (in uscita dal 19 gennaio per Eagle Pictures), spaccato grottesco e sopra le righe della Hollywood tra anni ’20 e ’30 del secolo passato. A partire dalla caotica, trasgressiva vitalità del cinema muto e del sottobosco che gli ruotava attorno, senza tacerne, ma anzi enfatizzandone gli aspetti più eccessivi e sgradevoli: «Mi rendo conto che è uno shock, ma era importante che lo fosse: sono fin troppi i film che oggi parlano della vecchia Hollywood celebrandola ma guardando solo la facciata, la patina, senza scavare nel profondo».

Obiettivo dichiarato del regista era invece «mostrare quello che Hollywood è spesso fin troppo brava a nascondere. All’epoca il cinema non godeva del prestigio di cui gode oggi, veniva visto come qualcosa di basso, volgare, pornografico». Hollywood, la sua umanità e i suoi film come Babilonia, appunto: una realtà «che nasceva dal peccato e dal vizio con persone peccaminose e viziose. Nel descriverla si utilizzavano anche altri riferimenti biblici come Sodoma e Gomorra. Era qualcosa di completamente nuovo, nata prima ancora dell’avvento di Las Vegas e di cose simili. Un’industria creata da immigrati, criminali, reietti, gente ai margini della società, che andavano a costruire una città in mezzo al nulla». Chazelle precisa che gli aspetti più estremi di quel mondo sono stati persino ammorbiditi: «Se avessimo mostrato la realtà per quella che era, vi garantisco che il film non sarebbe mai potuto uscire».

Credits: Claudia Giampaolo

Protagonisti di questa parabola, interpretata da divi del calibro di Margot Robbie e Brad Pitt, affiancati da Diego Calva, Jovan Adepo, Jean Smart, Li Jun Li e l’ex Spider-Man Tobey Maguire, sono personaggi che raggiungono il successo ma che altrettanto facilmente decadono, rovinosamente. E il film, non a caso, dalla commedia (nera) passa nelle sue tre ore alla tragedia, mentre tanti nella Hollywood di allora entrano in crisi per il passaggio traumatico e inesorabile al sonoro. «Volevo che questo riflettesse il momento in cui si trovava la società», spiega al riguardo Chazelle, «ma a un certo punto il passaggio alla tragedia mi è addirittura sembrato non essere sufficiente, e che si dovesse toccare un punto più cruento, che sfiorasse l’horror, proprio per mostrare l’altra faccia della medaglia, la caduta, dopo l’apice della festa. Dal tentativo di ascendere al cielo, alle stelle, al precipitare verso l’inferno».

Al tempo stesso, però, Babylon non nasconde la sua attrazione per un’epoca, quella del muto e della sua estrema libertà espressiva, da cui secondo il regista «abbiamo ancora molto da imparare». Tanto più oggi che, prosegue, «viviamo in un periodo dove a Hollywood c’è tantissima paura, tantissimo conformismo e moralismo puritano. E ciò che gli artisti secondo me dovrebbero fare è respingere tutto questo, opporsi, reagire, andare a rivendicare quella libertà che è stata repressa. In qualche modo questa storia lo racconta, ho cominciato a scriverla quindici anni fa, e in questo periodo Hollywood è cambiata molto, purtroppo non in meglio».

E forse la volontà di non mettere a proprio agio gli spettatori contemporanei ha gravato su Babylon, penalizzato negli USA da incassi molto deludenti e critiche non sempre generose, oltre che da un magro bottino raggiunto sin qui alla stagione dei premi (ai recenti Golden Globe ha portato a casa solo quello per la colonna sonora di Justin Huwitz). «Sapevo che avrebbe suscitato determinate reazioni e sarebbe stato accolto in una certa maniera», commenta il cineasta, «anche perché l’idea alla base del film era proprio quella di dare fastidio, di accarezzare contropelo le persone, provocare reazioni negative». Un risultato apprezzabile, per Chazelle, è già l’essere riuscito a portare a casa un progetto così ambizioso e difficile: «Sono estremamente grato alla Paramount che pur sapendo si sarebbe trattato di qualcosa di controverso e la polarizzazione che avrebbe creato, ha deciso comunque di finanziarlo. Non hanno mai esercitato alcuna pressione per spingermi a raggiungere dei compromessi».

«L’unica speranza», afferma il regista parlando dell’imminente uscita del film in Italia, «è che questo film possa trovare il suo pubblico, suscitare dibattito, discussione, risvegliare gli animi e non semplicemente scivolare via in maniera silenziosa e tranquilla: la mia intenzione era fare rumore». In ogni caso, sottolinea Chazelle, «sono convinto che, una volta finito, il film non sia più mio: quando è uscito non mi appartiene più, diventa del pubblico, di chi lo guarda. Ho fatto quello che sentivo di dover fare, ho portato questo film al mondo e ora lascio che sia il mondo a prenderlo e giudicarlo. Non sono d’accordo con quelle persone, anche molto autorevoli, che intervengono facendo director’s cut o altre modifiche. Un film è come un figlio che a un certo punto esce di casa e va a vivere per conto suo».

Difficile comunque, anche per chi non gradisse l’opera di Chazelle, non riconoscere il talento dimostrato una volta di più dalla sua interprete principale, Margot Robbie: «È un’attrice straordinaria», ha detto il regista, «da una parte, è una forza della natura, estremamente coraggiosa, disposta ad andare fino in fondo: lei spesso paragona la recitazione all’essere un animale, come se in ogni ruolo che interpreta abitasse una diversa bestia selvatica. Al contempo, però, è una persona con una grandissima disciplina e preparazione tecnica, è capace di fare 12 take e di piangere da un occhio solo. Abbiamo fatto scene su scene, ora improvvisando ora tornando alla sceneggiatura».

A proposito di un altro temuto passaggio d’epoca, quello odierno dal cinema in sala alla fruizione in streaming, il filmmaker non sembra temere eccessivamente per le sorti della settima arte: «È abbastanza divertente, perché vediamo che Babylon finisce nel 1952, con alcune scene di Singing in the Rain, e se andiamo a vedere molti film realizzati in quel periodo, è come se contenessero il timore che il cinema stesse morendo per essere totalmente sostituito dalla televisione. Così non è stato, il cinema ha continuato ad andare avanti, così come non è morta la televisione, anzi continua a crescere. È morto forse il sistema degli studios, ma è stato sostituito da qualcosa di diverso, da un altro sistema». Quella di oggi, allora, «è sicuramente una coesistenza difficile, ma sono ottimista, perché ritengo che l’evoluzione sia costante: Hollywood continua a cambiare, muore e rinasce. Nel 1899 persino Lumière ha detto che il cinema non avrebbe avuto futuro».

A proposito del cinema che verrà, poi, il regista ha speso qualche parole anche sulle potenzialità del 3D: «Credo possa essere qualcosa di estremamente interessante, come molti degli strumenti che il cinema ha usato nel corso degli anni per offrire allo spettatore un’esperienza diversa da quella che potrebbe avere a casa, pensiamo all’avvento del CinemaScope negli anni ’50». Ma è comunque «una responsabilità dell’artista utilizzare questi mezzi non come semplici trucchi ma come qualcosa che sia davvero una novità. Anche il 3D può fare una differenza nelle mani di qualcuno come James Cameron che riesce a dargli un valore estetico, meno forse nelle mani di qualcun altro». Sia come sia, ha concluso Chazelle, «si tende a pensare che il cinema sia qualcosa di vecchio, invece se lo paragoniamo alle altre forme d’arte, ci rendiamo conto che è qualcosa di estremamente nuovo, e ancora non abbiamo esplorato tutte le possibilità e innovazioni che ci può dare».

 

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