IO, RACHEL E IL FUTURO: INTERVISTA A CORRADO FORTUNA

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Tredici anni dopo My name is Tanino, Corrado Fortuna si confessa: la cotta per Rachel McAdams, il film su Roberto Cimetta, l’amore per la scrittura e il cinema americano

Abbiamo intervistato il protagonista di uno dei piccoli grandi cult dei primi anni Duemila, My name is Tanino di Paolo Virzì, un film che dovette affrontare numerose traversie produttive ma che rivelò il talento e la bellezza di Rachel McAdams, oggi candidata all’Oscar. Oltre alla bravura e alla simpatia di Corrado Fortuna, attore di Baarìa, Scusate se esisto e protagonista dell’imminente La leggenda di Bob Wind di Dario Baldi, che si annuncia come un’autentica sorpresa nel panorama del cinema italiano.

Corrado, partiamo dal tuo esordio. Sono passati quindici anni dal primo set di My name is Tanino. Che ricordi hai di quel film e di Rachel McAdams, la coprotagonista, all’epoca debuttante come te? Ti aspettavi che quella ragazza potesse diventare una delle star più importanti di Hollywood e, un giorno, essere candidata agli Oscar?

Prima di My name is Tanino, non avevo mai visto in vita mia una macchina da presa, un regista, una troupe. Non avevo mai conosciuto un attore. Mi trovai catapultato in un universo di professionisti americani e canadesi, ed ero sinceramente scioccato. Ero uno studente di ventitré anni appassionato di cinema ma ignoravo che cosa significasse essere un addetto ai lavori. Mi sentivo in un luna park. Quando lessi il copione, ovviamente, mi immedesimai immediatamente nel personaggio: un ragazzo siciliano, semplice e cinefilo, che si innamora perdutamente di una ragazza americana. E fu esattamente quello che successe a me: quando vidi per la prima volta Rachel McAdams cominciai a balbettare. Non ci fu bisogno di nessun metodo Stanislavskij: anche fuori dal set ero Tanino, persi la testa. Oggi è assurdo pensare che quello fosse il primo film di Rachel. Guarda quello che è successo a lei, e poi guarda quello che è successo a me. Non mi sorprende che sia stata nominata per l’Oscar, già quindici anni fa la vedevo come una star assoluta anche se era una debuttante, proprio come me. Come puoi immaginare, non l’ho mai più sentita, ma all’epoca eravamo diventati amicissimi. Devo essere sincero: tutti quelli che hanno lavorato in My name is Tanino sono rimasti legati da una specie di filo invisibile. Girammo in un periodo strano, fallì la Cecchi Gori nel bel mezzo delle riprese. Fu un film che ebbe continue interruzioni e diversi problemi produttivi e, paradossalmente, questa cosa unì tutti coloro che si trovarono coinvolti nella lavorazione. Oggi la ricordo come un’esperienza faticosa, magica e surreale: le disavventure erano state “€œtaninesche”€ dentro e fuori dal set, in tutto e per tutto.

Dopo il film di Virzì, quali consideri che siano state le esperienze più importanti della tua carriera?

Non faccio questa intervista per fare promozione ma, sinceramente, dopo quindici anni la prova più emozionante e massacrante è stata l’ultima, La leggenda di Bob Wind di Dario Baldi. Potrei risponderti le esperienze che ho avuto sul set di Milani, o quelle successive con Paolo Virzì, ma niente è paragonabile alla sensazione che ho provato lavorando con Dario. In quindici anni, ho avuto modo di conoscere il mondo del cinema, recitando e trovandomi ad avere a che fare anche con il linguaggio più tecnico. E ti assicuro che niente è stato così curato e dettagliato, così particolarmente eccezionale. A cominciare dal fatto che abbiamo girato ad Ancona, una delle città meno utilizzate dal nostro cinema, ma una delle più belle.

Puoi già anticiparci qualcosa di questo film?

La storia parla di un regista degli anni Settanta, Roberto Cimetta, sperimentale e teatrale, avventurosissimo. Girò per i teatri di tutta Europa, aveva un temperamento fortissimo e un entusiasmo incredibile. Un uomo con mille donne ufficiose e una sola ufficiale, mille figli ufficiosi e uno solo ufficiale. Ed è morto a trentotto anni, prima di poter assaporare il successo che aveva sempre inseguito. Non voglio fare una classifica, ma partecipare a un film su un personaggio così è davvero la cosa artisticamente più importante che mi sia successa.

Dopo aver diretto documentari e videoclip, hai mai pensato di cimentarti dietro la macchina da presa per un tuo lungometraggio?

Certamente, è il sogno di chi ama il cinema. Ci ho provato a lungo, ho scritto un copione che ha girato per anni tra gli uffici del Ministero, ma le disavventure produttive e la crisi fanno perdere il mordente. In questo momento, la scrittura è il mio sfogo artistico. I sogni sono quelli di essere regista e scrittore, ma il cinema ti porta via troppi anni e troppo coinvolgimento psicofisico, e a un certo punto ho preferito scrivere un romanzo (Un giorno sarai un posto bellissimo) per poter concludere almeno una delle storie che avevo in testa. Potrebbe sembrare che adesso la crisi sia un po’ scemata, ma non nel cinema. Credo che mettere in piedi un film sia un gesto romantico ed eroico, figuriamoci se poi lo fa un esordiente. Non c’è dubbio che se sei un esordiente sei anche un eroe.

Quali sono le tue passioni cinefile? Hai dei punti di riferimento come attore o degli idoli, nel cinema e nella letteratura?

Sono uno spettatore vorace, spazio dai film francesi ai supereroi della Marvel. Non mi perdo il grande film americano, tra gli ultimi ho amato Interstellar e The Martian, ma sono ovviamente appassionato anche dell’indie americano ed europeo. Sarà banale, ma i miei idoli sono le grandi star: Matt Damon, Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e George Clooney, il più grande, il Marcello Mastroianni del cinema americano. Non ti dirò mai che tra le mie passioni c’è Abbas Kiarostami. Nella letteratura, invece, amo Don DeLillo, Paul Auster, i gialli di Don Winslow. In Italia, Niccolò Ammaniti e Fabio Genovesi. Cerco quello che è contemporaneo, non ti risponderei mai che il mio punto di riferimento è Dostoevskij. Quello che conta sono le storie.

Emiliano Dal Toso