ACRID

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Id., Iran, 2013 Regia, Sceneggiatura e produzione Kiarash Asadizadeh Interpreti Saber Abar, Ehsan Amani, Pantea Panahiha, Nawal Sharifi, Shabnam Moghaddami   Distribuzione Imagina Durata 1h e 34′

In sala dall’ 

11 giugno

Soheila è un medico che lavora in una clinica per bambini malati, e ogni sera torna a casa da un marito Jalal, ginecologo, che ha il vizio del tradimento e l’abitudine di assumere nel suo studio solo segretarie nubili. La sua ultima impiegata è Azar che, pur di ottenere quel lavoro, nasconde al medico di essere sposata con Koshro. Tra Azar e Koshro a casa è un inferno, i due non attendono altro che il divorzio, ma mentre Azar continua a lamentarsi e a provare astio, Koshro frequenta Simin, donna già divorziata che insegna chimica all’università e ha una sorella in crisi con il marito. Tra gli studenti di Simin infine, c’è Masha, una esile e giovane studentessa fin troppo presa dalla relazione con il suo ragazzo. Delusa da quest’ultimo, tornerà a casa dai genitori, Soheila e Jalal, in una sorta di chiusura del cerchio della storia.

Opera prima dell’esordiente Kiarash Asadizadeh, Acrid traccia il ritratto di un Iran contemporaneo, presieduto dal riformatore moderato Hassan Rouhani, ancora indeciso tra modernità e tradizione, conservazione e cambiamento, dove le donne lottano quotidianamente per affermare il proprio diritto a esistere, lavorare, guidare, studiare, divorziare, muoversi liberamente, ma continuano ad essere bersaglio di soprusi, violenze e tradimenti da parte degli uomini. A quindici anni da il Leone d’Oro a Il cerchio di Jafar Panahi, il regista ne sviluppa la ricerca formale, a volte a scapito dell’emozione, e racconta dentro e fuori Teheran un universo femminile aspro, ricco e tormentato, motore di una trasformazione che stenta ad imporsi, lo sgretolamento della famiglia sotto i colpi dell’ipocrisia e della menzogna. Ferite a morte, le protagoniste sono libere di andare, ma non sanno bene dove. La macchina da presa ce le mostra in fuga, ognuna a modo suo, ma non può spingersi a immaginare un nuovo luogo per loro. Perché come i corpi sono ancora infagottati nel velo, così il loro spirito è ancora prigioniero da barriere invisibili e difficili da abbattere.

Alessandra De Luca