“La meccanica delle ombre”

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La mécanique de l’ombre Belgio/Francia, 2016 Regia Thomas Kruithof Interpreti François Cluzet, Alba Rohrwacher, Denis Podalydès Distribuzione Europictures Durata 1h e 33’

Al cinema dal 6 Aprile 2017

IL FATTO – Due anni dopo essere rimasto senza impiego e un anno dall’ultimo alcolico trangugiato, il metodico e serissimo signor Duval galleggia in una vita senza picchi, tra puzzles e le riunioni agli alcolisti anonimi. Finché un giorno gli arriva una strana offerta: dovrà trascrivere delle intercettazioni telefoniche nella massima discrezione per conto dell’elusivo Clement, “un’operazione di sorveglianza per conto della Francia intera”. Capirà presto di trovarsi in mezzo a una complicata e sporca storia di spionaggio, incentrata su tre compatrioti in ostaggio in Mauritania. Impossibilitato a tirarsene fuori, finirà coinvolto in azioni delittuose e minacciato. Già perché il mistero da sciogliere è: “per chi lavora Clement?”.

L’OPINIONE – Nonostante il regista (e cosceneggiatore con Yann Gozlan) Thomas Kruithof – al primo lungometraggio dopo il corto Retention (2013) – faccia propria la filosofia di Hitchcock, ovvero raccontare di “uomini comuni in situazioni straordinarie”, La meccanica delle ombre (a proposito, complimenti per il bel titolo suggestivo) parte, al contrario, come al Mago del brivido meno sarebbe piaciuto. Senza verve, depresso e geometrico, proprio come il carattere del protagonista (ma anche degli altri, agenti o meno, tutti educati e un po’ bigi anche quando menano o uccidono), per poi svilupparsi in uno strutturato spy-drama, peraltro sempre orientato verso il lato umano, cioè sull’anima progressivamente più disperata e rabbiosa, anche perché nella tela ci finisce pure una sua compagna di riunioni anti vizio (Alba Rorhwacher che se la cava piuttosto bene anche col francese).

Del resto qui accade proprio il contrario di quel che afferma Takeshi Kitano nel recente Ghost in The Shell, cioè “non far fare a un coniglio il lavoro di un lupo”. Invece qui il coniglio spaventato saprà reagire con tutta la genialità delle azioni inconsulte e disperate. Impeccabile François Cluzet dalla faccia vissuta e l’espressione sfatta alla Auteil (per capirci), in una storia dove le atmosfere contano quanto le actions (che non mancano, però mai addizionate da fx o enfatizzate da adrenalina superomistica). Del resto le locations a Bruxelles aiutano molto in questo senso. In concorso al Torino Film festival del 2016, qualcuno, parlandone sul web, ha osato tracciare paralleli con La conversazione e Perché un assassinio. Probabilmente è un’esagerazione che non gli rende un bel servizio, diciamo piuttosto un dignitoso esempio di cinema di genere all’europea.

Massimo Lastrucci

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