VERGINE GIURATA

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Italia/Svizzera/Germania/Albania/Francia, 2015 Regia Laura Bispuri Interpreti Alba Rohrwacher, Flonja Kodheli, Lars Eidinger, Emily Ferratello Sceneggiatura Laura Bispuri, Francesca Manier Produzione Marta Donzelli, Gregorio Paonessa Distribuzione Istituto Luce Cinecittà Durata 1h e 30′

In sala dal 

19 marzo

Strana legge il Kanun. Là tra le montagne albanesi, all’interno di una società dura, tribale e maschilista, solo agli uomini sono concessi certi diritti. Le donne sono obbligate ed educate alla sottomissione. Con un’eccezione: se accetti di rinunciare al sesso e vivere in rustica castità, allora – giurando in apposita cerimonia – puoi “diventare maschio” e quindi imbracciare un fucile, bere, girare da solo/a per i boschi, essere padrone/a del tuo destino. Insomma: la libertà in cambio dell’identità. E’ quello che l’orfana Hana Doda, accolta dalla famiglia dello zio, accetta di fare trasformandosi in Mark. Ma quando emigra in Italia dalla sorella/cugina Lila, ora sposa e madre, la sua dura scelta di vita torna in discussione e comincia il suo percorso di riappropriazione della propria femminilità.

Burnesha: così in originale si definisce la “vergine giurata”, la donna che diventa uomo (ma il percorso inverso è previsto?). A neanche tanti kilometri di distanza da noi, ecco un’usanza così antropologicamente estranea da risultarci barbara e osticamente esotica. Da un romanzo omonimo di Elvira Dones (ed. Feltrinelli), Laura Bispuri, fin qui autrice di apprezzati e premiati cortometraggi (Passing Time, Biondina, quest’ultimo Nastro d’Argento), debutta nel racconto a dimensione lunga. Lo fa con la timidezza dell’esordiente che attenua però solo in parte la sensibilità dello sguardo. Così, se la parte “italiana” – per così dire – suona un po’ pallida e compita come le caratteristiche della protagonista Alba Rohrwacher (sempre però enigmaticamente straniante), quella balcanica coinvolge non solo per l’aspetto etnografico, ma anche per la consapevolezza (di idee e di volontà) con cui l’occhio dell’autrice media tra la durezza della montagna d’inverno e quella degli abitanti («ho lavorato per sottrazione, più che per addizione, scegliendo sempre un punto di vista specifico della macchina da presa »).
Per questo, mentre riconosciamo le qualità della cineasta e il coraggio della Vivo Film di Gregorio Paonessa e Marta Donzelli che insieme alla Colorado Film ha investito in una produzione indubbiamente difficile e di non facile appeal, nondimeno ci resta il dubbio di quanto più emotivamente trascinante avrebbe potuto essere se si fosse data appena un po’ più di libertà e spazio al calore, alla passione, alla empatica sporcizia della realtà (per la parte italiana).

Massimo Lastrucci