VINCENT CASSEL: IL FIGLIO D’ARTE DELLE BANLIEUE

0

Da L’odio a Mon roi, ripercorriamo la carriera di Vincent Cassel, uno dei più grandi attori francesi contemporanei

«Non sono uno stronzo, sono il re degli stronzi ». Questa battuta del personaggio di Georgio Milevski in Mon roi racchiude un po’ la percezione che lo spettatore può avere di Vincent Cassel, dentro e fuori dallo schermo, prima e dopo Monica Bellucci. Sempre e rigorosamente riferibile a quello che riguarda il suo rapporto con le donne: per il resto, Vincent è un padre di famiglia affettuoso, un attore eccezionale, un uomo impegnato su diversi fronti. Dalla lotta contro la costruzione della diga di Belo Monte in Brasile – che comporterebbe gravi danni ecologici, oltre al disagio di diverse tribù costrette a trasferirsi – alle numerose dichiarazioni contro il Front National francese, Cassel non si è mai nascosto dietro frasi di circostanza. A cominciare dall’amore più volte confessato per la sua Parigi, città nella quale si sente “un Puffo al villaggio dei Puffi”, al punto da poter passeggiare indisturbato o girare serenamente in motorino per le zone più centrali. Per arrivare fino alle accuse di cinismo al popolo italiano, motivo per cui – secondo lui – non si spiegherebbero altrimenti le vittorie elettorali di Berlusconi. Le debolezze nei confronti del fascino femminile hanno caratterizzato la sua vita, ma pochi attori di fama mondiale hanno vissuto un amore importante, duraturo e maturo come il suo per Monica Bellucci.

La fama di gran seduttore, di non bello ma terribilmente affascinate, e l’immagine di figlio di papà adottato dalle periferie lo hanno preceduto. D’altronde, è difficile evitare i pregiudizi se Jean-Pierre Cassel è stato uno degli attori più amati da registi come Claude Chabrol, Jean Renoir e Jean-Luc Godard. Ciononostante, nel 1995 L’odio di Mathieu Kassovitz piomba come un fulmine a ciel sereno al Festival di Cannes, rivelandosi un pugno nello stomaco. Cassel interpreta Vinz, scostante bullo di periferia che dietro l’apparenza cela un’umanissima insofferenza esistenziale e un’insospettata sensibilità. Il film è un capolavoro in grado addirittura di anticipare i fatti di cronaca delle banlieue parigine e Vincent è adottato immediatamente dalle comunità underground e hip-hop come una nuova icona. Benché sia il figlio di Jean-Pierre Cassel, la sua adesione al mondo artistico della controcultura è credibile e autentica, e l’aderenza a un’etica coerente del proprio lavoro, sinceramente lontana dalle facili luci della ribalta, è testimoniata dai nomi dei cineasti con cui lavora. La sua carriera parla da sola: basti pensare al coraggioso hard-boiled Dobermann, a due blockbuster anomali come la Giovanna d’arco di Luc Besson e Il patto dei lupi di Christophe Gans. E al sodalizio con Mathieu Kassovitz che, dopo L’odio, gli garantisce il successo commerciale de I fiumi di porpora.

Eppure, nei primi anni del Duemila, proprio quando la sua fama raggiunge il culmine grazie alle chiacchiere del matrimonio con la Bellucci e le sirene di Hollywood potrebbero finalmente corromperlo, le scelte artistiche di Vincent Cassel sono ancora più spiazzanti. Numero uno: un ex critico cinematografico francese dal nome di Jacques Audiard, che si era da poco cimentato dietro la macchina da presa riscuotendo discreti apprezzamenti, lo vuole per il ruolo del protagonista del suo terzo film Sulle mie labbra. Numero due: un filmmaker famoso per il suo stile violento e nichilista dal nome di Gaspar Noè sceglie lui per il personaggio centrale di Irréversible, opera shock dove la moglie Monica subisce uno stupro di dieci minuti in uno sottopassaggio di Parigi. Il Festival di Cannes urla allo scandalo e all’indignazione e l’ipocrisia della stampa accusa la coppia di aver ceduto al sensazionalismo e di voler apparire a tutti i costi fuori dalla norma. Vincent se ne infischia, e l’opera viene innalzata a cult assoluto dalla cinefilia francese più anticonformista.

Nella seconda metà degli anni Zero, Vincent Cassel prende molti aerei che lo portano Oltreoceano per trovarsi sui set di Steven Soderbergh (Ocean’s Twelve, Ocean’s Thirteen) e di Darren Aronofsky (Black Swan). Certamente, non proprio i due nomi più convenzionali del cinema americano. Nel frattempo, trova il tempo per fare amicizia con David Cronenberg, che gli concede i ruoli violentemente dirompenti di Kirill ne La promessa dell’assassino e di Otto Gross in A Dangerous Method, e per interpretare Jacques Mesrine, uno dei più famosi criminali francesi del secolo scorso, nel capolavoro di Jean-François Richet diviso in due parti dai titoli Nemico pubblico N.1 – L’istinto di morte e Nemico pubblico N.1 – L’ora di fuga. Il resto è storia recente: all’ultima Croisette, Cassel si è calato nella parte selvaggiamente erotica del re di Roccaforte ne Il racconto dei racconti di Matteo Garrone e in quella, appunto, dello “stronzo” Georgio in Mon roi di Maiwenn. La separazione con Monica Bellucci non ha intaccato la sua attitudine umana e professionale: la scelta ricade sempre su personaggi sfaccettati e controversi, oltreché su progetti cinematografici audaci e controcorrente. D’altronde, è difficile togliersi dalla testa il suo monito a Natalie Portman in Black Swan: «e ora mostrami il tuo cigno nero, Nina». Tradotto: mostrami il tuo lato oscuro. Senza di quello, non ci sarebbe nessun Vincent Cassel.

Emiliano Dal Toso