Nella giornata di ieri, 20 ottobre, Damien Chazelle è stato protagonista di un Incontro (per ovvi motivi non Ravvicinato, ma via webcam) con il presidente Antonio Monda e il pubblico della Festa del Cinema di Roma. Il giovane regista, enfant prodige della Hollywood contemporanea e premio Oscar nel 2017 per La La Land, ha disquisito sul ruolo del musical come genere cinematografico, analizzando i suoi titoli preferiti e i capolavori che hanno contribuito a fare la storia del cinema.
West Side Story (1961)
L’incontro si è aperto con una clip di West Side Story, il principe tra i musical, tornato sulla bocca di tutti dopo la notizia del remake ad opera di Steven Spielberg. Chazelle ha riconosciuto il valore inestimabile dell’originale, sottolineando l’incredibile lavoro svolto da Jerome Robbins e soprattutto Robert Wise, nato montatore, che in questo film è riuscito a fondere intimamente i corpi e la splendida musica di Leonard Bernstein.
«Amo l’originale West Side Story, l’ho rivisto in una retrospettiva alla Disney prima di girare La La Land. È diverso dai musical che amo di più, ha uno stile diverso. Wise ha fatto un lavoro splendido di montaggio, su come si muovono i corpi che sembrano collegati alla macchina da presa».
A. Monda: Molti sono scettici all’idea del remake di Spielberg. Tu cosa ne pensi?
«Ho lavorato con Spielberg quando era produttore di First Man. Mi ha riferito le reazioni negative della stampa, era un po’ angosciato. Pensare a Spielberg preoccupato mi ha fatto strano. Io credo che ci siano cose che si possono migliore in West Side Story, si può trovare un nuovo approccio, ad esempio usare un cast di gente ispanica della giusta età e fare un uso delle location più vicino al testo base. E comunque nessuno sa muovere la macchina da presa meglio di Spielberg. Al momento io ho visto solo alcune prove delle coreografie sul cellulare».
Il musical preferito di Chazelle: Les Parapluies de Cherbourg (1964)
Il film diretto da Jacques Demy ha stravolto la vita di Chazelle, facendo nascere in lui un’idea completamente nuova del cinema.
«L’ho visto per la prima volta a 18, 19 anni. È il film più importante nella mia vita da cinefilo. Da giovane non ero appassionato di musical, anzi li odiavo, mi guardavo sempre Hitchcock. È stato questo film che ha cambiato tutto. Mi ha fatto vivere una trasformazione. Dopo i primi 10-15 minuti stavo per andarmene, non lo sopportavo, poi piano piano è successo qualcosa, mi sono cominciate ad arrivare le emozioni tutte insieme e in modo inatteso mi sono sentito coinvolto e commosso, ho avuto una sorta di reazione chimica. Mi ha lasciato confuso e innamorato di questa storia ordinaria, elementare. Credo che più una cosa crei distanza all’inizio, più riesci a sentirla vera dopo, questa è la mia teoria. Vieni trasportato in una sorta di livello emotivo astratto, trascendente, al di là dello stato normale. C’è della magia dietro».
Incontriamoci a Saint Louis (1944) e Spettacolo di varietà (1953)
Dopo l’imprinting avuto con Les Parapluies de Cherbourg, Chazelle ha rivalutato completamente il musical classico, del quale individua due capitani indiscussi, Gene Kelly e Vincente Minnelli. Di quest’ultimo si è parlato di due suoi capolavori, Incontriamoci a Saint Louis e Spettacolo di varietà.
«Incontriamoci a Saint Louis è il film che si allontana di più nell’epoca classica di Hollywood e si avvicina a ciò che hanno fatto i francesi. Se ci pensate, il più grande conflitto nella storia è che la famiglia si dovrà trasferire a New York, non c’è niente di show business. Ci sono scene di vita domestica, come quella dei bambini che guardano dalle scale, il mio dettaglio preferito. Amo quelle cose ordinarie, di vita comune. Nel contesto della Hollywood classica questo risulta essere un approccio estremamente radicale.»
In Spettacolo di varietà, Monda e Chazelle concordano nel dire che c’è una delle scene più belle dell’intera storia del Cinema, ovvero il ballo nel parco, di cui Chazelle ci regala una splendida e appassionata analisi:
All’inizio di quella scena, quando entrano nel parco, c’è una fluidità straordinaria del passaggio in cui lui aiuta lei ad entrare nel numero. C’è una progressione che giustifica la musica. Camminano, entrano nel parco, c’è una piccola banda che suona all’aperto e attraversano un gruppo di coppie che balla. È un dialogo, un incontro di anime tra persone che si capiscono ballando, senza dire una parola. Cinema puro.
Da qui è cominciata una digressione sulle qualità dei migliori attori di musical, da Fred Astaire a Ginger Rogers (visti nella celebre sequenza di Cappello a cilindro) a Gene Kelly e Debbie Reynolds.
«Per alcuni aspetti Ginger Rogers è la mia preferita. È l’anima e la vera ragione per la quale quei film sono speciali. C’è qualcosa nel suo volto, nel modo in cui recita: è la migliore attrice tra i danzatori».
Cantando sotto la pioggia (1954)
La penultima clip ha visto protagonista il musical per antonomasia presso il grande pubblico: Cantando sotto la pioggia, diretto da Stanley Donen e Gene Kelly.
A. Monda: Gene Kelly era solo coreografo o di più?
«Certamente di più, anche se è difficile capire la linea di demarcazione tra Kelly-regista e Kelly-ballerino così come quella che c’è stata tra lui e Donen. La loro collaborazione in Cantando sotto la pioggia è speciale, sarebbe un errore esagerare il ruolo dell’uno o dell’altro. Entrambi hanno fatto il loro lavoro migliore lavorando insieme»
La La Land (2016)
A concludere l’appassionante incontro con Chazelle non poteva che esserci il suo, di musical, a cui Monda si è subito collegato con un interrogativo:
“Quanto è difficile convincere Hollywood a fare musical oggi?”
«C’erano già stati alcuni musical che avevano funzionato, ma erano per lo più spettacoli di Broadway. Questo invece era un film diverso, fatto con musica propria.
Quando stavo scrivendo la sceneggiatura avevo già in mente Emma Stone e Ryan Gosling, ma all’inizio non sembrava affatto realistico avere loro. Forse grazie a Whiplash sono riuscito a convincerli. Ho cercato di spiegar loro che non dovevano fingere, non erano attori che avevano sempre ballato e cantato. Erano persone reali, gente qualsiasi e il pubblico doveva relazionarsi. Non c’era lo stile esagerato, tipo Chicago. Volevo qualcosa che sembrasse improvvisato. Loro hanno accettato solo a condizione di farlo insieme. Chiunque cerchi di fare un musical ha un posto speciale nel mio cuore. Quando fai un musical devi apri il tuo cuore, e questo può spaventare».