La Festa del Cinema di Roma 2023 si avvicina alla conclusione, e alla proclamazione dei vincitori, ma il programma continua a offrire appuntamenti interessanti. Come quello con il Paso Doble che ha visto protagoniste Emma Dante ed Elena Stancanelli, rispettivamente regista e cosceneggiatrice di Misericordia, presentato fra le Proiezioni Speciali della diciottesima edizione della manifestazione.
Un dialogo tra le due autrici della storia – interpretata da Simone Zambelli, Simona Malato, Tiziana Cuticchio, Milena Catalano, Fabrizio Ferracane, Carmine Maringola, Sandro Maria Campagna, Marika Pugliatti, Georgia Lorusso e Rosaria Pandolfo – di Arturo, un ragazzo magro magro che balla nudo tra le rocce e vive in un mondo ai margini, una baraccopoli cadente tra il mare e il monte. Orfano e menomato, è accudito da Anna, Nuzza e Bettina, tre prostitute amiche di sua madre, che di giorno sferruzzano e cuciono instancabili e di notte lavorano.
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Dopo Via Castellana Bandiera e Le sorelle Macaluso, Emma Dante trasporta sotto la luce della Sicilia e, in parte, in esterni un universo famigliare e ferino accorato e dolente, un pietoso e indignato atto di fede nella forza e nell’umanità delle donne, materne lottatrici in un mondo di maschi disgustosi.
“Misericordia nasce da un testo teatrale scritto da Emma, che dopo esser andato in tournée e aver avuto successo lei ha deciso di portare al cinema – racconta la Stancarelli. – La prima cosa che accade quando sposti una creatura dal palcoscenico e la metti davanti alla macchina da presa prende una dimensione diversa. Esce da un ambito metaforico, come quello del teatro, e arriva più vicino allo sguardo delle persone. Edoardo si è così rivelato diverso, nella sua difficoltà maggiore a essere spostato nel mondo con un film, in un luogo che somiglia di più alla realtà. Senza sottrarsi alla necessità di spiegarlo troppo“.
“I suoi natali sono qui, – spiega anche Emma Dante. – È una storia che nasce nell’oscurità, in quella cripta segreta che è il teatro. E con una gestazione particolare. Con il cinema, il film, conosce il mondo, ha una connotazione spazio temporale, ma la difficoltà di approccio era già nella sua natura ibrida, priva di una forma precisa, imprendibile, inafferrabile, dal punto di vista della narrazione“.
“Tutto è stato naturale, come è naturale l’approccio artistico – continua la regista, – nonostante si sia in un contesto in cui tutto sembrerebbe anomalo. Arturo non è femmina, e non è maschio, c’è un corto circuito interessante che racconta il percorso naturale che porta a una realtà del genere“. Che vediamo nella comunità del film, “un elemento che ovviamente sul palcoscenico teatrale non c’era“.
Una comunità dalla quale Arturo va via, e dove gli uomini appaiono piuttosto atroci…
Arturo viene mandato via non perché viva i un contesto di povertà o ignoranza. Per i bambini come lui, che diventano adottabili, il problema non è la povertà – ci sono aiuti per tenerli con la famiglia – ma che gli possano fare del male. Per Arturo, il problema è che il padre lo vuole uccidere. Lui vorrebbe restare lì, c’è ricchezza, il mare, la montagna, l’amore, l’inclusione, ma ci sono uomini che spadroneggiano questa parte di comunità nella quale vivono donne soggette alla proepotenza e allo sfruttamento degli uomini capeggiati da Polifemo. Questa minaccia è ciò che fa decidere le donne a mandarlo in istituto perché si salvi, dove Polifemo non possa raggiungerlo.
“Io sono una madre che ha adottato, e non ci si prende cura di figli che stanno bene – conclude la Dante. – Si prendono in casa figli che nascono in una mostruosità, intesa come realtà dalla quale vengono portati via. Una madre di un figlio adottivo accetta anche questo lato mostruoso, qualcosa che ha a che fare anche con il titolo, la Misericordia, che non è un sentimento con cui giudichi l’altro, ma fai tuo il suo vissuto“.
Tornando al film, la sua è una narrazione molto fisica, quanto lavora sui corpi?
I corpi per me sono la scrittura. D’altronde anche la sceneggiatura, quando arriva sul set, viene fatta a brandelli, con Elena e Giorgio interveniamo anche sul set, perché sul set arrivano i corpi, gli sguardi, i gesti. E mettono tutto in discussione. Tutto. Arriva la sfida vera. Io i corpi li lascio fare. Provo molto – sia a teatro sia al cinema – prima di lavorare sulla narrazione della storia. Metto attori e attrici nella condizione di conoscersi. Così le persone iniziano a esistere, e la macchina da presa è una invitata a questa festa, e diventa anche lei corpo. Le prove a me servono moltissimo, non ce la farei altrimenti. Più proviamo, meno giriamo, perché facendo troppi ciak secondo me si perde in naturalezza.