Il Ca’ Foscari Short Film Festival apre con Joanna Quinn

Dopo la cerimonia iniziale alla presenza, tra gli altri, del Prorettore Elti Cataruzza e della Direttrice Roberta Novielli, la manifestazione ha ospitato il focus sulla pluripremiata animatrice inglese, intervistata da Davide Giurlando.

0

Una «fotografia culturale del nostro pianeta» è quella che, nelle parole di Elti Cataruzza, Prorettore al Diritto allo studio e servizi agli studenti dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, offriranno i corti dello Short, il festival interamente organizzato dall’ateneo (col supporto di oltre 200 studenti) e giunto alla 14ma edizione. Che ha preso il via il 20 marzo all’Auditorium Santa Margherita della città, sullo sfondo del manifesto firmato da Manuele Fior e all’insegna, ancora una volta, della scoperta di nuovi talenti da ogni parte del mondo, con i lavori del Concorso Internazionale che, anticipa sempre Cataruzza, affronteranno tra le altre cose i rapporti interpersonali, le dinamiche familiari e anche la tragedia delle guerre nel mondo, «guerre che uccidono le persone, strangolano e soffocano il futuro».

È tanto più giusto allora «che si ascoltino i messaggi e le parole» dei giovani concorrenti, siano questi «sussurrati o lanciati come pietre», ha sottolineato il Prorettore prima di dichiarare ufficialmente aperta la manifestazione affiancato sul palco dalla Direttrice Roberta Novielli. Lasciando poi lo spazio a una delle ospiti d’onore di quest’anno, l’animatrice inglese Joanna Quinn, che ha dialogato con Davide Giurlando, docente del Master of Fine Arts in Filmmaking di Ca’ Foscari.

L’animatrice Joanna Quinn.

Il focus, intitolato Girls just wanna draw: l’arte di Joanna Quinn è stato l’occasione per vedere l’artista (due volte vincitrice del BAFTA e tre volte nominata all’Oscar) disegnare in diretta davanti agli spettatori e raccontare genesi e retroscena (anche tecnici) di alcuni dei suoi lavori più significativi, a partire da Girls’ Night Out (1987), il corto dove ha debuttato la sua celebre eroina del quotidiano, la madre di famiglia e operaia Beryl, che darà il nome alla casa di produzione dell’autrice e ne ha rivelato l’ironia irriverente. Non per nulla, la sua protagonista esordisce sognando la venuta di un Tarzan che spezzi la frustrante e alienante routine familiare: e il desiderio, parzialmente, si avvera quando le amiche la portano a divertirsi in un locale dove si esibisce uno spogliarellista in perizoma

«Questo film parla di una donna vera, ed è per questo che si è distinto, perché era diverso», afferma Quinn, che fu convinta dagli amici a partecipare al prestigioso Festival di Annecy, «e così è iniziata la mia carriera: in principio pensavo ci fossimo solo io e Walt Disney e quindi che non ci fosse speranza, ma poi ho scoperto che non eravamo solo noi! Ho vinto tre premi e sono potuta diventare un’animatrice».

Non meno, anzi persino più graffiante il successivo Britannia, frutto della collaborazione con un produttore della BBC e nuova sfida creativa per Quinn: «Quando gli altri vengono da te con le loro idee è più difficile». In questo caso, il risultato è stato un grottesco, crudele e irresistibile corto che racconta «l’imperialismo britannico in cinque minuti», attraverso i sogni di (vana)gloria e dominio coloniale di un bulldog antropomorfo, in bianco e nero («Non mi piace colorare», confessa l’animatrice) ma emblematicamente vestito con i colori della bandiera del Regno Unito.

«La cosa divertente», ricorda l’intervistata, «è che, dopo aver vinto il premio Leonardo Da Vinci per questo film, la cerimonia di premiazione è stata a Buckingham Palace», dove Quinn s’imbatté nel Principe Filippo: «Che mi domandò, senza aver visto il corto, di cosa parlasse. Gli dissi: “Dell’imperialismo britannico”, ma la persona che organizzava accanto a me corresse: “No, no, parla di un cane!».

Terza chicca dell’incontro, il più recente Affairs with the Art (2021, candidato dall’Academy come i precedenti Famous Fred e Wife of Bath), dove ritroviamo Beryl, stavolta alle prese con aspirazioni artistiche: «Questo elemento è autobiografico, dato che per diversi anni ho lavorato in pubblicità e a un certo punto mi è tornato il desiderio di fare arte». L’esito, d’altronde, sarà piuttosto amaro per la protagonista, anche e soprattutto a causa degli orpelli sociali che la vincolano alla sua condizione. Più realizzata, forse, la sorella tassidermista Bev, co-protagonista di un corto densissimo di humour nero con trovate tragicomiche e satiriche fulminanti: «È basato su una storia vera, sulla mia stessa vita, per questo ci sono più momenti dark».