Venezia 80, Anna – Marco Amenta racconta il suo film presentato alle Notti Veneziane

Nel lungometraggio, Rose Asti interpreta una donna che si batte per difendere la sua terra in Sardegna da un'azienda che vuole sottrargliela. Abbiamo intervistato il regista.

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È «una storia di Davide contro Golia» quella che il regista Marco Amenta (La siciliana ribelle, The Lone Girl, Tra le onde) racconta in Anna, il suo nuovo lungometraggio presentato all’80ma Mostra del Cinema di Venezia in chiusura delle Notti Veneziane (Giornate degli Autori). La protagonista del titolo è una giovane donna che in Sardegna porta avanti una piccola attività pastorizia nell’appezzamento già appartenuto a suo padre. Quando però una grande azienda mira a sottrarle il terreno per edificarci un resort, Anna si oppone mettendosi contro l’impresa e buona parte dei suoi stessi compaesani.

Ad ispirare il film, una vicenda realmente accaduta. «Purtroppo», ricorda Amenta, «in tantissime parti d’Italia il territorio è stato sventrato, anche nella mia regione, la Sicilia. In Sardegna la battaglia non è ancora persa». La sceneggiatura (del regista con Niccolò Stazzi e Anna Vittone) rielabora però molto liberamente i fatti di cronaca, «toccando archetipi quasi shakespeariani o da tragedia greca, perché Anna dovrà confrontarsi anche con sé stessa e coi fantasmi del suo passato per vincere la sua lotta. Non c’è volontà di didascalismo o pedagogia nel film, lei non è una Greta Thunberg che si batte per l’ambiente. La sua è una voglia di riscattarsi e affermarsi come donna libera anche sessualmente, e di difendere la propria terra dalle macchine che la violano».

Non a caso, contro Anna si saldano moralismo patriarcale e capitalismo rapace, in grado di sedurre i vicini della donna con la prospettiva del denaro e dei posti di lavoro che potrebbe portare l’opera sul territorio. Al prezzo, però, di cancellarne storia, cultura ed equilibri naturali. «È il ricatto occupazionale, come per l’Ilva di Taranto», afferma il regista, «Il film non vuole dividere in bianco e nero, però queste persone sono sotto scacco, e Anna glielo dice, che le stanno prendendo in giro: come se l’industrializzazione pesante, il turismo con metri e metri cubi di cemento che invadono le coste, fossero l’unica soluzione».

Prodotto da Simonetta Amenta, Antoine de Clermont-Tonnerie, Sandro Parenzo e Giampietro Preziosa (una produzione Eurofilm, Mact Productions, Videa Next Station, Inthelfilm e Rai Cinema, col sostegno di Regione Sardegna, Eurimages, Europa Creativa e Regione Ile de France, con le partnership di Italia Nostra e Una, nessuna centomila), il lungometraggio di Amenta conta anche sull’intensa prova dell’interprete principale, Rose Aste. «Ho fatto moltissimi provini», spiega il regista, «perché era molto importante avere autenticità nel racconto. Anche gli altri attori sono stati scelti per la loro visceralità. Durante la lavorazione, la macchina da presa li lasciava liberi di muoversi nello spazio, pur con un copione molto preciso».

La stessa esigenza di autenticità è rispecchiata dal dialetto sardo, che si alterna nei dialoghi all’italiano: «Il sardo», specifica il regista, «in genere emergeva quando le battute erano più “di pancia”, l’italiano quanto “la testa” prendeva il sopravvento. Che è anche il contrasto fra antico e moderno, uno dei temi del film».