Gli oceani sono i veri continenti – Alle Giornate degli Autori la Cuba dell’esodo

Il regista Tommaso Santambrogio racconta a Ciak il suo lungometraggio d'esordio, che il 30 agosto ha aperto il Concorso delle 20me GdA e dal 31 è in sala per Fandango.

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A San Antonio de los Baños, nell’entroterra di una Cuba malinconica e spopolata dall’emigrazione di massa, scorrono le storie di diversi personaggi e generazioni: una donna anziana che rilegge le vecchie lettere del marito combattente in Angola, due ragazzini che sognano di diventare giocatori di baseball negli USA, una coppia di giovani teatranti, lui che rimpiange il passato, lei che prepara la partenza per l’Europa. Le Giornate degli Autori si aprono (in concorso) con un debutto italiano atipico, Los océanos son los verdaderos continentes (Gli oceani sono i veri continenti), scritto e diretto da Tommaso Santambrogio a partire dal suo omonimo corto del 2019.

All’epoca, il regista lavorava con Lav Diaz, e l’influenza si vede: il bianco e nero (scelto per meglio trasmettere un senso di nostalgia, decadenza e sospensione storica) si unisce alla profondità di campo dando corpo a inquadrature dove le figure umane attraversano la vastità dei luoghi, veri comprimari del film: «L’idea, quando vai in sala, di poterti perdere nell’immagine, contemplando il movimento nello spazio e percependo tramite esso l’idea di durata, è cresciuta dentro di me fin dai primissimi lavori», spiega il cineasta, che ha visitato l’isola socialista per la prima volta a otto anni, instaurandovi poi un rapporto duraturo e personale.

«Per me i cubani sono un popolo eccezionale», afferma, «da tanti punti di vista, culturale, educativo, e sicuramente la Rivoluzione ha avuto sotto vari lati un impatto positivo, anche se ora presenta aspetti anacronistici e problematici, un po’ per l’embargo un po’ per la gestione interna». Le conseguenze del bloqueo imposto da Washington, confermato e inasprito dall’amministrazione Trump, sono visibili. E si riflettono in quell’esodo che «è un’emergenza, forse l’elemento più tragico della realtà cubana, il fatto che tutti cercano un modo per andarsene data la crisi economica e politica senza precedenti».

A questo, naturalmente, si aggiunge «il fatto di essere un’isola», in cui «l’altrove, come l’orizzonte, è il mare, l’oceano: è una costante nella tua testa, nel tuo immaginario». E riguarda più o meno direttamente i protagonisti de Los océanos, tutti attori cubani che recitano nella loro lingua interpretando, di fatto, sé stessi.

Non a caso, il processo di scrittura e il suo adattamento agli spunti offerti dalla realtà, ha richiesto anni: «Per me era necessario riuscire a mischiare il mio sguardo con quello dei personaggi, facendo in modo che avessero la libertà di improvvisare, creare assieme nei dialoghi, nella costruzione delle scene. Ho passato tanto tempo con loro, traendo ispirazione dal passato delle persone, osservandone la quotidianità, e da quello cambiavo la sceneggiatura».

I bambini, in particolare, non hanno mai avuto il copione: «Andavamo dove avremmo girato e impostavamo la dinamica tra loro legata a un obiettivo di scena, utilizzando il gioco, e da lì improvvisavamo arrivando al maggior grado di spontaneità possibile».

Ne è nato un lungometraggio d’esordio (una produzione Rosamont con Rai Cinema, prodotto da Marica Stocchi e Gianluca Arcopinto e in sala dal 31 agosto per Fandango) sicuramente anticonformista. Ma, specifica il filmmaker, «non ho scelto di fare questo film, di farlo a Cuba, con questa estetica, per prendere una posizione “contro”: l’ho fatto perché è quello che mi piacerebbe vedere, respirare di più anche nel cinema italiano, cioè una diversità, un’eterogeneità, un osare e andare contro quella che è un’apparente moda. Non mi interessava seguire certe logiche di mercato ma realizzare un film che mi rispecchiasse e rispecchiasse un’alternativa. Secondo me l’arte in generale si deve nutrire di cose diverse, di sguardi e immaginari diversi, altrimenti non si crea dialettica, non si crea confronto».