INTERVISTA A XAVIER DOLAN

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DI CLAUDIO MASENZA

Xavier Dolan e Claudio Masenza

Uno dei più sorprendenti talenti del cinema mondiale degli ultimi anni, il canadese Xavier Dolan, giunto con Mommy al suo quinto film, ha finalmente trovato in Good Films una distribuzione determinata a farlo conoscere al nostro pubblico, forse anche grazie al Premio della Giuria vinto all’ultimo Festival di Cannes, ex aequo con Jean-Luc Godard. Il film è per lo spettatore un’esperienza difficile da dimenticare. Violento, commovente, ironico, è il racconto del rapporto impossibile fra una madre vedova e un figlio difficile che, secondo Dolan, 25enne regista, sceneggiatore e montatore del film, semplicemente si amano troppo. Un’altra madre era al centro del suo primo film, in parte autobiografico, J’ai tué ma mère (Ho ucciso mia madre), autoprodotto e presentato con successo al Festival di Cannes quando il piccolo genio del Québec aveva solo 20 anni. Il resto, per i cinefili, è storia. Gli oltre venti premi già vinti sono solo la conferma di una creatività inarrestabile.

Nei giorni scorsi, durante una sua breve visita romana, ci ha detto: «Ho raccontato più volte rapporti madre – figlio ma era inevitabile. Sono cresciuto in un ambiente femminile. Mio padre era spesso assente. I miei divorziarono quando avevo due anni e mia madre si trasferì nella periferia più profonda, la stessa dove ho girato Mommy. Lei lavorava ed io sono stato molto con mia nonna e con una prozia, in campagna ad oltre tre ore da Montreal. Queste donne hanno di certo condizionato la mia inspirazione artistica. Le ho potute osservare mentre lottavano per la propria condizione sociale, il lavoro, la famiglia. Gli uomini non li vedevo. Per questo le figure paterne sono assenti nelle mie storie ».

Un altro tema presente nei suoi primi quattro film è la ricerca o l’affermazione di un’identità sessuale…
Per me è semplicemente la ricerca di un’identità, di un proprio spazio nella società. L’omosessualità di quei personaggi è un dato marginale. Faccio film sull’intolleranza nei confronti dei diversi, così intesi in ogni senso, per il loro temperamento, per i sogni che coltivano. La società non sopporta le differenze perché da queste viene messa in discussione. Le considera pericolose e ne ha paura, nonostante siano all’origine di ogni forma di evoluzione, di progresso, di arte.

È molto interessante l’uso che lei fa della musica pop.
La musica arriva prima del film. Ascolto una canzone e mi viene in mente una scena, senza sapere dove la inserirò. Un film è come una partitura per me. Tutto è musica: il dialogo, i rumori, i silenzi. Io stesso monto i miei film e, dopo la musica, la prima fase è la scrittura, poi il montaggio nella mia testa e infine le riprese. Giro solo quello che risulterà funzionale al montaggio. Anche se resta sempre spazio per l’improvvisazione.

I suoi film rimandano al grande cinema di un passato recente. A chi si è ispirato?
Non ho nessuna formazione cinematografica. Vengo da un ambiente popolare e la mia educazione è limitata. Guardavo film per famiglie. A 17 anni ho abbandonato gli studi ma per fortuna un’amica di mio padre sceneggiatrice mi ha dato dei buoni libri da leggere e mi ha fatto scoprire Lezioni di piano di Jane Campion e alcuni film di Wong Kar -way. Ma i miei principali riferimenti sono Batman Returns, Mamma ho perso l’aereo…. Ho iniziato a fare film a 18 anni… Tanti film da vedere, così poco tempo…Mi ispiro di più ai fotografi che amo, come Avedon, Penn o anche solo le foto di moda che trovo nelle riviste. E le riproduzioni di quadri di Matisse, Chagall, Picasso.

Conosce un po’ il cinema italiano?
Ho visto alcuni film di Bertolucci, Visconti, De Sica… sono molto emozionanti. Antonioni è per me troppo freddo, ‘design’. 8 ½ di Fellini è un film intelligente, rivoluzionario, ma in un film mi impressionano i sentimenti, non tanto l’intelligenza.

Mommy rappresenta il Canada agli Oscar. Questo cambierà qualcosa nel suo futuro?
È emozionante, certo, ma già da due anni ho scritto una sceneggiatura in inglese per girare un film americano e ora, anche se non avrò neppure la candidatura, lo farò comunque. Si chiama The Death and Life of John F. Donovan e racconterà le conseguenze del successo nella vita di un attore trentenne e le ripercussioni sulla sua famiglia. Jessica Chastain sarà una giornalista demoniaca. Tutto ruoterà questa volta attorno ad un uomo ma non sarà un padre. Certe cose non cambiano.

Mommy: la recensione