Quel pasticciaccio brutto del Dolby Theatre…

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Quel pasticciaccio brutto del Dolby Theatre. Warren Beatty, la busta scambiata, il cambio di vincitore in diretta sul palco, l’equipe di La La Land che, con classe inconcepibile, ma lodevole, passa il premio per il miglior film alla troupe di Moonlight che, all’inizio, pensa a uno scherzo. Shock in diretta globale e galattica: il tutto resta imperdonabile nel corso di un evento del livello e del costo della Notte degli Oscar, costringendo tra l’altro, milioni di follower a cambiare i commenti già postati tra tweet e post. La parodia dei Trolls si ritorcerà contro gli autori, ma intanto è andata, con qualche ombra. Il bilancino ha funzionato: La La Land, che tutti pensavamo assoluto trionfatore, perché è un film che prodigiosamente unisce talento cinematografico, memoria e intensità popolare, ha vinto meno dell’annunciato. Resta e resterà, tuttavia, un film perfetto per l’Oscar, ancor più nell’anno in cui l’ombra di Trump s’allunga non solo sullo spirito liberal, ma anche sul business di Hollywood. La California aspira alla secessione e La La Land, fin dal titolo, è una dichiarazione di appartenenza territoriale e di orgoglio hollywoodiana, con la memoria dell’età dell’oro del musical e dei piccoli cinema da salvaguardare, proprio mentre lo streaming minaccia  il Box Office, avanzano i nuovi colossi Netflix e Amazon citatissimi all’Oscar e le barriere di Trump potrebbero provocare restrizioni e chiusure di rimbalzo sui mercati asiatici e oltre Oceano ormai essenziali agli incassi. Ha vinto meno di quel che si annunciava La La Land e forse non è un male, perché ha lasciato spazio a Manchester By The Sea, assai meritevole, e al ‘piccolo’, ma intenso Moonlight, il film che ha aperto la Festa di Roma.

LA BILANCIA DELL’ACADEMY

Con la consueta bilancia sempre in pari, l’Academy è riuscita a fare ammenda delle colpe del passato (ricordate #OscarSoWhite) inanellando una meritata quantità di candidature e vittorie afroamericane proprio nell’anno in cui se ne avvertiva più l’esigenza e la storia personale e professionale di Viola Davis è esemplare quanto quella del primo musulmano nero premiato come miglior non protagonista, Mahershala Ali, per Moonlight. E non si può negare che aver premiato lo scorso anno la grandezza del cinema messicano con il film diIñárritu, Revenant, aggiunga un pietra preziosa all’anima multiculturale dell’ex-mecca del cinema, togliendo qualche mattone virtuale dal muro che il presidente sogna di costruire lungo il confine. Certo tanta bellezza e tanto impegno esibiti al Dolby cozzano con gli elettori di The Donald che probabilmente se ne sbattono degli  appelli di divi milionari (peraltro assai contenuti nel corso della serata, incluse un paio di timide battute di Jimmy Kimmel) e preferiscono la schietta virulenza dei suoi tweet. L’Oscar per loro è una Fake News, come per il Presidente che infatti se ne va a cena altrove. E siamo chiari: Il cliente è il film che meritava di vincere per l’opera straniera, soprattutto perché è bellissimo e non solo perché il regista iraniano Farhadi ha scelto di disertare. Infine, il nostro Fuocoammare ha vissuto comunque una magnifica avventura, e ha ragione Rosi a chiedere : «Adesso non parlate di delusion». S’è battuto nel terreno giusto, quello del documentario, e ha perso con onore contro O.J.Simpson, documentario anche questo finito nell’onda Black. Ci consolano i due giovani italiani come Bertolazzi e Gregorini, premiati per il make-up di Suicide Squad. Adesso, prima di raggiungere qualsiasi party, dovrebbero pensare al make-up di questa Notte degli Oscar, dal finale un po’ horror o forse solo da imperdonabili “peracottari”. Resterà nella storia delle grandi gaffe. E, ancor più dopo l’errore, resterà nella storia La La Land

Piera Detassis

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