“THE WALK”: CON IL NASO ALL’INSÙ

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Robert Zemeckis fa rivivere la maestosità delle Twin Towers in The Walk, pellicola presentata nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma nella quale Joseph Gordon-Levitt presta il volto a Philippe Petit, il funambolo francese protagonista della traversata più spettacolare della storia

The WalkLo skyline di New York è stato immortalato da centinaia di pellicole, entrando nell’immaginario cinematografico di milioni di spettatori, rapiti da quelle costruzioni luminose, riflettenti, che guardavano al cielo. Poi, una data altrettanto indelebile, quello skyline l’ha cambiato per sempre, lasciando un vuoto riempito soltanto da due fasci di luce. Due come le Twin Towers, le imponenti torri gemelle, inizialmente detestate dalla maggioranza dei newyorchesi, che hanno imparato a guardarle con occhi diversi, prima ancora del cinema, grazie ad un ragazzo francese con il naso sempre all’insù e l’arroganza, necessaria, per sognare l’impossibile. Dopo il corto High Wire di Sandi Sissel del 1984 e Man on Wire di James Marsh, Premio Oscar nel 2009, Robert Zemeckis realizza il terzo film che vede protagonista l’incredibile storia di Philippe Petit, il funambolo francese giunto a New York dalla ville lumière per realizzare quello che chiunque altro avrebbe considerato una follia: attraversare, su un filo d’acciaio e senza protezioni, la distanza che separava i due edifici.

The WalkIstintivo domandarsi cosa può aver provato l’uomo, sospeso nel vuoto, all’indomani dell’attentato che non solo a sconvolto l’America ma che ha cambiato gli equilibri mondiali con ripercussioni sociali e politiche. «Non amo molto parlare di quello che è successo. Non mi piace perché provo un sentimento molto forte immaginando quello che hanno provato tutte le persone che lì dentro hanno perso la vita ». Esordisce così Philippe Petit durante la conferenza stampa dedicata a The Walk, nei prossimi giorni nelle nostre sale. Una conferenza, escludendo l’iniziale pudore e rispetto mostrati dall’uomo nei confronti di una pagina buia della nostra storia collettiva, non ancora digerita, contraddistinta dalla vulcanica personalità del funambolo, così fisico nella vita da sembrare seduto sui carboni ardenti e bisognoso di mimare e mostrare ai giornalisti presenti in sala i suoi pensieri. Costruito con un ritmo quasi da thriller, The Walk, racchiude lo stile registico di Zemeckis grazie ad un uso raffinatissimo e sbalorditivo degli effetti speciali che, una volta tanto, rendono il 3D godibile anche per il più accanito dei detrattori. Raccontato, a ritroso, dallo stesso Petit, il film, è interpretato da uno dei nomi più interessanti di Hollywood, l’attore e regista Joseph Gordon-Levitt. «Non appena ho saputo che sarebbe stato lui ad interpretarmi ho chiesto a Zemeckis che venisse istruito da me. Aveva solo otto giorni prima dell’inizio delle riprese. Un tempo molto limitato che ho sfruttato per mettere fili e cavi in un magazzino dove ci esercitavamo. Abbiamo iniziato tracciando una linea a terra e all’ottavo giorno Joseph era in grado di percorrere dieci metri sulla fune. Volevo che comprendesse lo stile, l’animo e la nobiltà della camminata. Robert non credeva ai suoi occhi quando ho finito la preparazione ».

The WalkLa pellicola, dalla provincia francese, ci guida tra le strade pullulanti di bistrot di una Parigi primo vero palcoscenico dell’artista per approdare alla New York del 1974 dove il funambolo, aiutato da un piccolo numero di complici, realizza il suo “colpo”: una traversata non autorizzata tra le Twin Towers non ancora completate. «Sotto il mio letto ho un’enorme scatola rossa con la scritta “Progetti”. Ci sono foto di montagne, cattedrali, un’insieme di luoghi naturali e creati dall’uomo. Oggi se ne dovessi scegliere una vi chiederei di venire come sull’Isola di Pasqua » risponde l’artista del cielo a chi gli domanda se ha ancora sogni da realizzare sospeso nell’aria. The Walk, oltre a raccontare uno degli avvenimenti più incredibili del quale sia mai stata protagonista New York, mostra anche i sacrifici celati dietro una vita dedicata all’arte ed il prezzo da pagare per poter vivere la magia personale, intima, di chi investe tutto nel proprio sogno e che spesso deve convivere con l’incapacità del prossimo di capire a fondo le motivazioni o il senso profondo di quell’azione, o meglio dire, bisogno. «Qualunque artista che si appassioni completamente all’arte deve provare quella solitudine. Qui a Roma ci sono tante sculture meravigliose e chi le ha realizzate ha provato quella stessa solitudine. Quando mi chiedono se ho paura mi viene spontaneo da chiedere: “Paura di cosa?”. C’è un verbo (morire ndr) che non dico mai ma che esprime benissimo il senso della domanda che mi viene posta. E no, non ho mai paura prima di una camminata e neanche durante perché sono concentrato. Quando prendo in mano l’asta so che arriverò alla fine, trasportando con me la mia vita ».

The WalkL’opera si divide in due grandi segmenti, una sorta di Parigi vs. New York, nella quale il regista gioca con tutti i mezzi in suo possesso, dalle luci alle musiche, per sottolineare le differenze che contraddistinguono i due lati di una stessa medaglia. Per accompagnare Petit/Levitt nella sua folle passeggiata tra le nuvole, Zemeckis, da sempre abilissimo nell’arricchire i suoi film con colonne sonore ricche ed iconiche, sceglie le note del free jazz newyorchese per accompagnare il funambolo, lasciando per il finale la chiusura potente data da inquadrature capaci di trasportare lo spettatore sul cavo insieme all’artista, immerso nella sua dimensione. «Lassù mi sono sentito come su un trono. Dopo la prima traversata non volevo mettermi a festeggiare. Per me si trattava di una prova dato che per la prima volta in vita mia dovevo camminare su un cavo che non avevo controllato personalmente da tutte e due le parti. Ho ripreso a camminare e mi sono sdraiato sul filo. La torre era il mio trono. Ho notato le persone a terra ed ho capito che era arrivato il momento di esibirmi. Mi hanno detto che sono rimasto lassù per quarantacinque minuti e ho fatto otto traversate » ricorda Petit, un fiume in piena di parole che lasciano la platea incantata dal ricordo di un gesto straordinario, folle, unico, capace di rammendarci l’importanza delle prospettive, dei punti di vista differenti, nell’arte come nella vita. «Quando si guarda il mondo da un’altra prospettiva, cosa che io reputo importantissima, puoi vedere due montagne dall’alto, e, facendo il funambolo, ho capito che anche le montagne si posso spostare ».

Manuela Santacatterina