Assassinio a Venezia, il curioso boom della commedia “gialla”

Il nuovo film di Branagh, in uscita il 14 settembre, certifica la rinascita della Black Comedy

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Tina Fay e Kenneth Branagh, Assassinio a Venezia

Arriva in sala la terza fatica di Kenneth Branagh, mascherato dietro i baffi di Hercule Poirot in Assassinio a Venezia, dal 14 settembre in sala distribuito da The Walt Disney Company Italia. Ma non è del film che voglio parlare, anche se la tentazione di mettere il titolo in rapporto allo sciopero degli attori americani e alla Mostra di Venezia ci sarebbe tutta.

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Mi colpisce piuttosto l’adesione entusiasta del pubblico (e delle case di produzione) per un genere che sembrava tramontato forse per sempre, la Commedia Gialla/ Black Comedy con tutte le sfumature permesse dai canoni del mystery anglosassone. Nei romanzi di Agatha Christie, un modello ancora insuperabile, c’è sempre un sorriso segreto che rende complice il lettore, ma nell’interpretazione di Branagh questo accento diventa prevalente per quanto orribili siano i delitti che deve spiegare.

La Black Comedy

La Black Comedy viene da lontano, fin dai tempi de L’uomo Ombra, film degli anni ’30 scritto da Dashiell Hammett e amatissima per i suoi protagonisti William Powell e Myrna Loy. Ma col tempo se ne erano quasi perse le tracce. Di recente, a preparare il terreno, ci sono state probabilmente le innumerevoli serie da tv generalista che negli anni scorsi hanno soddisfatto soprattutto le generazioni pantofolaie.

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Ma la chiamata del pubblico in sala ha toccato fasce di spettatori più ampie e la risposta immediata a Poirot è venuta – guarda caso con immediata acquisizione del primo e secondo film di Rian Johnson da parte di Netflix – con Knives Out: un americano si sintonizzava sulla frequenza del baron Sir Daniel Craig, per impersonare il detective amatoriale Benoit Blanc. Da quel momento in poi la malattia si è fatta contagiosa e la sua rapida diffusione in Europa ha caratterizzato il cinema francese e inglese dell’ultima stagione.

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Se il modello della detection classica ha trovato in La nuit du 12 di Dominik Moll e in Maigret di Patrice Leconte due formidabili esempi con nostalgiche sfumature noir, altri hanno affrontato di petto la Black Comedy d’impianto tradizionale. Penso a Omicidio nel West End di Tom George, finanziato dai produttori di Fox, ma interamente ambientato nella Londra dei teatri al tempo del trionfo di Trappola per topi (i gloriosi anni ’50). La commedia gira su binari abbastanza prevedibili, ma Sam Rockwell vale il prezzo del biglietto.

La tendenza è ancora più marcata nel francese Masquerade di Nicolas Bedos, che mette in scena una pochade con l’occhio rivolto a Caccia al ladro; la vicinanza geografica del plot con Cannes e la Costa Azzurra lo induce a far ruotare il tutto sulla sfinita esistenza vacanziera dei ricchi fuchi che si aggirano intorno ad una star in declino con gigolò al seguito. Anche in questo caso, nonostante un cast stellare in cui ognuno fa la sua scena madre (i giovani Pierre Niney e Marine Vacth, i veterani François Cluzet, Emmanuelle Devos, Laura Morante), la ribalta è tutta per una ritrovata e autoironica Isabelle Adjani che riscatta il ritmo generale della storia con furti e disincanti.

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Lo stile di François Ozon domina invece in Mon Crime – La colpevole sono io, ambientato nella Parigi tutta crinoline e champagne degli anni ’30, esaltato da Isabelle Huppert in un ruolo scritto per un maschio e declinato come manifesto femminile in una società ottusamente borghese.

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Il tour, iniziato con Assassinio sul Nilo, si conclude – per ora – con Il mistero del profumo verde diretto dal francese Nicolas Pariser e ben assecondato da un cast in cui il giovane Vincent Lacoste si misura col redivivo Rüdiger Vogler mentre la parte più scopertamente comica è affidata a Sandrine Kiberlain. Qui il nume tutelare è l’Hitchcock inglese con le sue corse contro il tempo nello stile de I 39 scalini.

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Tre tendenze

Mentre aspettiamo le cupe atmosfere di una misteriosa Venezia in cui, del tutto arbitrariamente, Kenneth Branagh ha mandato in gita il suo Poirot, possiamo notare almeno tre tendenze che legano tutti questi film. La prima è lo sfondo prevalentemente attinente al cinema e al teatro, come se i registi volessero dirci: “attenzione, questa è finzione pura, non prendiamoci sul serio e non crediamo troppo a ciò che vediamo”.

Secondo elemento: si fa riferimento a due scuole del mystery (quella di Dame Agatha e quella di Sir Alfred) che nulla hanno in comune con i colori del noir che caratterizzano il genere dalla metà degli anni ’40 del secolo scorso ad oggi e dipingono una società magari zeppa di intrighi, avidità e delitto, ma pur sempre capace di rimettere le cose a posto grazie a un’etica superiore.

La terza: il gusto del sorriso e della commedia che sempre, quando le inquietudini sociali si facevano più vivide, ha “inquinato” il giallo garantendogli popolarità per un pubblico trasversale e adulto.

La versione teen dello stesso fenomeno si riscontra nel genere fantasy e nella ricetta Marvel. Ma qui siamo alle prese con la caccia a un pubblico diverso, quello che ha disertato le sale post-Covid. Questo spiega come mai in pochi mesi ci sia stata una concentrazione di titoli in aperta controtendenza con ciò che avevamo visto fino a poco prima. E dice anche che solo pochi dei registi citati (forse soltanto Bedos e Ozon) ci riproveranno al passaggio successivo.