Dopo Assassinio sull’Orient Express (2017) e Assassinio sul Nilo (2022), Kenneth Branagh chiude la trilogia dedicata al detective Hercule Poirot – creato da Agatha Christie nel 1920 – adattando uno degli ultimi romanzi gialli della scrittrice britannica nel thriller soprannaturale Assassinio a Venezia, che arriverà il 14 settembre nelle sale italiane distribuito da The Walt Disney Company Italia. E stavolta, tra i tanti volti noti del cast (da Kyle Allen a Jamie Dornan, Tina Fey, Kelly Reilly e Michelle Yeoh) ci sarà anche un pizzico in più di Italia, rappresentata da Riccardo Scamarcio.
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IL FATTO:
Ormai in pensione e in esilio volontario nella affascinante e inquietante Venezia del secondo dopoguerra, Hercule Poirot evita accuratamente ogni contatto con il pubblico, attentamente protetto dal fido Vitale (Scamarcio). Almeno fino a quando una inattesa apparizione lo convince a partecipare – pur con riluttanza – alla seduta spiritica che si terrà in un palazzo decadente e spettrale sulla laguna alla vigilia di Ognissanti. Durante la serata uno dei presenti viene però assassinato, e nessuno è al sicuro in quello che sembra rivelarsi un mondo sinistro di ombre e segreti.
L’OPINIONE:
Sicuramente il più debole dei tre Poirot di Branagh, nonostante le premesse, questa volta la sceneggiatura del candidato all’Oscar Michael Green non sembra riuscire a rendere onore a pieno al romanzo di partenza: quel “Poirot e la strage degli innocenti” che nella trasposizione cinematografica fatica a trovare un equilibrio tra licenze e forzature di un adattamento che dalla campagna di Woodleigh Common ci porta nella Venezia del 1947, durante i festeggiamenti di un carnevalesco Ognissanti, necessario a mantenere alcuni elementi dell’Halloween originale.
Qui si muove un cast interessante e con nomi di richiamo, pur se non al livello dei due precedenti capitoli né sfruttati completamente, forse volutamente tenuti nell’ombra per permettere al protagonista di spiccare in un impianto narrativo che avrebbe costretto tutti, più del solito, nella famosa stanza chiusa del giallo classico. Una dinamica ricorrente in Agatha Christie – e nei Poirot cinematografici – che stavolta si sviluppa in una casa dei misteri. O degli orrori, visto il risalto dato all’elemento soprannaturale, spesso arma in più del film, sia nello svolgimento del racconto – che qui e lì gioca con generi diversi – sia per i tanti ammiccamenti visivi che – tra fisheye, primi piani esasperati e angoli olandesi – nella distorsione ci offrono un indizio di quella che sarà la soluzione finale.
Con una ambientazione tanto – volutamente e strumentalmente – limitata, l’azione ne risente e lo sviluppo in qualche maniera perde di incisività, non mostrandosi in grado di capitalizzare le diverse psicologie dei personaggi, attentamente analizzate sulla carta, a tratti smaccate sullo schermo. Eppure nonostante questo, vedere Poirot all’opera in un’indagine è sempre un piacere, a patto di sopportare una curiosa alternanza di jumpscare, spiegoni e prolungate suspense. Un gioco diverso dal solito, nel quale anche gli indizi e le confessioni fasulle fanno la loro parte nel tenere in piedi un costrutto nel quale fino alla fine sono in molti a poter rubare la scena conclusiva.
Non una sola, in realtà, che con tanti personaggi c’è spazio per riflessioni di ogni sorta, sulla caducità della vita, sull’importanza che diamo al passato a discapito del futuro, e sul rapporto tra genitori e figli. Qui rappresentati dal dotato quanto antipatico Jude Hill (già nel Belfast del 2021), dal tormentato padre (Jamie Dornan) e dalla madre inconsolabile che tutti ospita (Kelly Reilly). Ma anche dalla ‘Autrice’ Tina Fey, con la quale lo stesso Poirot svela un rapporto da mito greco, di amore-odio, che non può non far pensare alla Christie e alla sua creatura. Che si spera anche Branagh a questo punto voglia lasciar riposare in pace, senza reclutarlo per ulteriori ‘Assassini‘. Con buona pace dei fan del personaggio, che continua a imperversare sulle tv nazionali nella versione di David Suchet (disponibile anche su Amazon Prime, dove purtroppo manca proprio la versione televisiva del 2009 di “Poirot e la strage degli innocenti” diretta da Charles Palmer).
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L’innamoramento di Kenneth Branagh per il detective belga ci aveva già regalato i precedenti Assassinio sull’Orient Express (2017) e Assassinio sul Nilo (2022), ovviamente imperdibili per chi volesse completare la trilogia. Ma, detto dei tanti episodi della serie ITV già citata, il miglior Hercule Poirot di sempre resta indubbiamente quello di Peter Ustinov, perfetto nel ruolo e nei casi raccontati in Assassinio sul Nilo (1978) di John Guillermin e Delitto sotto il sole (1982) Guy Hamilton.