Ugo Tognazzi non ce lo siamo mai meritato

Trent’anni fa scompariva uno dei più grandi attori italiani di sempre. Poliedrico e mai snob nelle sue scelte, ha costruito la storia cinematografica del Belpaese

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27 ottobre del 1990, Roma. Ugo Tognazzi se ne va, nel sonno, per colpa di un’emorragia cerebrale. Lascia quattro figli, una gran quantità di ricette e una carriera cinematografica straordinaria. Nanni Moretti in Ecce Bombo inveiva dicendo che “ma che siamo in un film di Alberto Sordi”. In realtà siamo stati per tanti anni in un film di Ugo Tognazzi. Di, non con. Perché alcuni attori hanno fatto ben più che interpretare dei ruoli, hanno dato corpo e voce a un’intera società. Sordi ha sempre rappresentato l’italiano schierato perfettamente al centro, talvolta cialtrone, altre traffichino, in alcuni casi eroico, comunque prodotto di un paese controverso e contorto.

I “film di Tognazzi” erano l’esatto contro altare. L’attore cremonese amava raccontare personaggi ben più complessi, stratificati, in cui il bene e il male si intrecciavano continuamente con il grottesco e il realismo. Una dote naturale, che lo portò a essere prima una star della televisione in coppia con Raimondo Vianello, un binomio incredibilmente creativo e irriverente, tanto da essere allontanati dalla RAI per avere osato dileggiare l’allora presidente della repubblica Gronchi. Per Tognazzi fu forse quasi una manna dal cielo, riuscì così a dedicarsi al cinema all’alba del decennio del boom economico, gli anni Sessanta, ancora così vicini alla guerra e proiettati verso un futuro che molti immaginavano roseo. Non era così, bene lo avevano capito molti autori del nostro cinema, quelli più imprevedibili e che Tognazzi amava particolarmente per la loro naturale tendenza al caos e all’anarchia. Salce, Risi, Pietrangeli, Monicelli, e naturalmente Ferreri, con loro diede il meglio di sé, tratteggiando caratteri indimenticabili. Il sodalizio con Ferreri andrebbe analizzato a lungo, non si può liquidare in poche parole, necessita di lunghi saggi di analisi filmica, è uno di quei casi in cui l’attore è estensione dell’autore e viceversa. Insieme hanno sparato a zero contro la chiesa, l’ipocrita bigottismo cattolico, l’istituzione del matrimonio e della famiglia, la società dei consumi e il patriarcato. Film come La donna scimmia, L’ape Regina, La grande abbuffata, Il professore, geniale episodio di Controsesso, sono ancora oggi opere potentissime e contemporanee.

Ugo Tognazzi conosceva molto bene i suoi simili, intesi come italiani. Era un curioso osservatore della società, di cui apprezzava soprattutto le aberrazioni convenzionalmente considerate normalità. Da qui partiva per demolire questa noiosa forma di esistenza anestetizzata e mascherata da bella vita, nascondente però tante più o meno grandi ignominie.

Più di Sordi, e molto più di Gassman e Mastroianni, Tognazzi è stato “italiano” ad ampio spettro. Da quello più bieco, come ne I mostri, ma anche il Gigi Baggini di Io la conoscevo bene, diretto da Pietrangeli, regista tra i più grandi di sempre del nostro cinema e mai abbastanza ricordato. Al più integerrimo, come nello straordinario In nome del popolo italiano di Risi. Il magistrato Mariano Bonifazi è un personaggio tragico che ancora oggi sarebbe divorato dal suo terribile dilemma.

Come detto, non si può raccontare Ugo Tognazzi in poche righe, e comunque non se ne spenderebbero mai abbastanza, almeno per quanto riguarda la sua carriera di attore e di regista che bene aveva imparato le lezioni dei suoi amici dietro la macchina da presa. Anche quando raccontava le sue storie, Tognazzi lo faceva con una cattiveria benevole e atroce, com’era giusto che fosse.

Se si dovessero scegliere due ruoli della carriera di Ugo Tognazzi con cui cercare di definirne anche la persona, i più indicati sarebbero probabilmente l’anarchico Romeo del bellissimo Il padre di famiglia di Nanni Loy, e il Primo Spiaggiari de La tragedia di un uomo ridicolo di Bernardo Bertolucci, imprenditore caseario che non sa scegliere tra un figlio, rapito dalle Brigate Rosse, e la sua fabbrica. Giovanni, il giovane in cattività, è interpretato da Ricky, primogenito Tognazzi. Aggiungere altro sarebbe superfluo.