AGNUS DEI

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Polonia, 1945. Mathilde, aiuto medico presso un ospedale da campo francese, riceve un giorno una strana e pressante richiesta da parte di una suora. Condotta al convento, si trova davanti a una situazione drammatica, sette monache sono sul punto di partorire. Il fatto è che sono state violentate più volte da soldati russi e a loro non resta che il disonore, la vergogna, lo scioglimento della comunità. A meno che lei non dia una mano concreta. Come le dice suor Maria, una delle poche a parlare francese: “da cinque anni viviamo nella paura. Per noi la fine della guerra non vuol dire la fine della paura. Il nuovo potere non ci farà regali”.

Les innocentes (così in originale) è stato scritto dalla nipote di Madeleine Pauliac, protagonista della scabrosa vicenda. Anne Fontaine – già altrove attrice e poi regista di articolate e fortunate commedie come Il mio migliore incubo o Gemma Bovery – la mette in scena con encomiabile senso del pudore e del decoro, facendo da una parte prevalere comprensione e partecipazione emotiva di fronte anche agli sviluppi più aspri; dall’altra accompagnando il confronto tra la francese, comunista e non credente – aiutata anche da un medico ebreo appassionato e pungente – e le consorelle (tra cui spicca la complessa maturità di suor Maria: “la fede sono 24 ore di dubbio e un minuto di speranza”) con una felice predisposizione verso i sentimenti più nobili.

Un film che fa bene al cuore, cui le interpreti, tra cui spicca la freschezza di Lou de Laage (in Italia ha recitato in L’attesa) e l’intensità di Agata Kulesza (che la regista apprezzò nel meraviglioso e per qualche verso affine Ida e punto di partenza iniziale del progetto del film), donano una partecipazione convinta e mai scomposta. Alla scabrosità e austerità (con sentimento) di Agnus dei contribuisce non poco anche la rustica asprezza dei luoghi, trovati dalla produzione nella settentrionale e – come si vede – spesso innevata regione della Varnia-Masuria.