“Aspettando il re”, Tom Hanks cambia vita nel deserto: la recensione

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Germania/Usa/Gran Bretagna/Francia Regia Tom Tykwer Interpreti Tom Hanks, Tom Skerritt, Sarita Choudhury, Sidse Babett Knudsen, Alexander Black, Dhaffer L’Abidine, Michael Baral Distribuzione Lucky Red Durata 1h e 38’

Al cinema dal 15 giugno 2017

IL FATTO – Alan Clay è un business man in piena crisi, con un divorzio astioso alle spalle, l’età che avanza, l’azienda in cui lavora in disperato bisogno di concludere l’affare per cui è stato inviato in Arabia Saudita. In effetti dovrebbe presentare un sistema di comunicazione (per conferenze) tridimensionale da istallare all’interno della avveniristica metropoli in fase di costruzione tra deserto e mare. Nell’attesa del sovrano che non arriva mai, tra mille problemi culturali, ambientali e di salute, l’uomo stringe amicizia con un bizzarro autista e soprattutto con una dottoressa del luogo, due chiavi per comprendere meglio il mondo in cui è stato catapultato.

L’OPINIONE – Tom Tykwer è un regista sempre sul crinale tra la genialità e la banalità. In ogni sua regia riuscita (Lola corre, La principessa + il guerriero, Profumo) c’è sempre un cedimento al corrivo, in quelle più tribolate (The Heaven, The International, Cloud Atlas) sempre qualche colpo d’ala originale. Così è per A Hologram for the King, versione di un romanzo di Dave Egger (ovvero uno dei più interessanti scrittori della pen-ultima generazione, intenso e versatile indagatore delle contraddizioni del nuovo mondo globalizzato e iper-tecnologizzato), con un budget che può permettersi una star come protagonista e riprese luminosissime tra Marocco e Egitto (e solo un po’ di Arabia Saudita).

Parte come una versione sardonica e leggermente allucinata dello straniero evoluto in terra straniera (può ricordare vagamente Lost in Traslation), per poi sciogliersi, con la progressiva conoscenza da parte di Clay dell’ambiente in cui si trova, in una compita, tenera e luminosa love story. Tom Hanks è uno dei più adatti a rappresentare l’animo dell’americano perbene (un po’ tradizionale, naturalmente cordiale, molto inquieto e diviso nel suo profondo), infatti il suo dirigente è quanto mai lontano dall’immagine degli affaristi squali, iperattivi e arroganti, che siamo abituati a vedere non solo su schermo.

È il lato spaesato di una nazione in crisi, che si vede superata dal mercantilismo al ribasso di mega-nazioni emergenti (la Cina) e impreparata di fronte a società contraddittorie come quella arabo-saudita. Fortunatamente per lui ha due guide formidabili per impedirgli di compiere gaffes incresciose e fatali: Alexander Black driver coi piedi nella tradizione e aspirazioni occidentali (ama la musica dei Chicago e dell’Electric Light Orchestra) e soprattutto Sarita Choudhury (in effetti è anglo-indiana e noi la conosciamo anche per la serie tv Homeland), medico con gli stessi problemi e in fondo le stesse aspettative di un inevitabilmente perplesso Alan Clay.

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