Nell’estate del 1969 Buddy, un bambino di nove anni figlio della classe operaia di North Belfast, vive felice, amato e al sicuro nel cuore di una comunità unita e solidale.Nel tempo libero il piccolo si immerge nell’ombra di un cinema o davanti alla televisione, guardando i film e la TV americana e lasciandosi trasportare nel mondo dei sogni.
Ma mentre l’uomo muove i primi passi sulla Luna, gli ultimi giorni di agosto trasformano i sogni d’infanzia di Buddy in un incubo. Il latente malcontento sociale esplode improvvisamente: prima un attacco mascherato, poi una rivolta e infine il conflitto in tutta la città, con la religione che alimenta le fiamme.
Cattolici e protestanti, amorevoli vicini solo un istante prima, diventano nemici mortali e le vite degli innocenti sono minacciate.
Riuscirà suo padre, che lavora in Inghilterra cercando di guadagnare abbastanza per sostenere la famiglia, a essere l’eroe di cui Buddy ha bisogno? Sua madre rinuncerà al passato per proteggere il futuro della sua famiglia? Riusciranno i suoi amati nonni a vivere al sicuro? E come potrà continuare ad amare la ragazza dei suoi sogni?
L’OPINIONE
«A quelli che sono rimasti, a quelli che sono partiti, a quelli che si sono persi lungo la strada», recita la dedica del film, che rende omaggio a una famiglia e a una comunità. Ci sono voluti cinquant’anni perché la storia di Kenneth Branagh, dei suoi genitori e dei suoi nonni diventasse la storia di tutti.
La storia di quei bambini che in un momento turbolento della Storia, in un Paese infiammato dal conflitto, devono imparare a dare forma e senso al caos che li circonda. Mezzo secolo per trovare la giusta prospettiva dalla quale raccontare ciò che accadde a Belfast durante i cosiddetti “troubles”, il passaggio dall’idillio all’inferno restituito in un classico romanzo di formazione costruito a episodi, ricco di stupore e meraviglia, dolore e tenerezza, dove l’autobiografia si mescola sapientemente all’immaginazione.
Girato, come Roma di Cuarón e come il precedente Nel bel mezzo di un gelido inverno, in un elegante bianco e nero (del direttore della fotografia Haris Zambarloukos) incendiato solo dai colori dei film che sul grande schermo accendono la fantasia del piccolo Buddy,
Belfast è senza dubbio il lavoro più personale, intimo e generoso di Branagh, forse il migliore per la sua capacità di mettersi a nudo dopo i costumi di Shakespeare e Marvel, Agatha Christie e Cenerentola.
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Il regista ci fa viaggiare su un doppio binario, quello storico e quello famigliare, trovando il modo di coniugare memoria e riflessione, cinema e teatro, dramma e commedia, danze e pallottole. Ma non meno riuscito è il dialogo che Branagh, classe 1960, alla diciottesima prova dietro la macchina da presa, intrattiene con la musica, soprattutto quella di Van Morrison, grande protagonista del racconto tanto quanto i suoi bravissimi attori.
Se il piccolo esordiente Jude Hill che osserva, spia, ascolta, impara mentre tutto il suo mondo si capovolge nell’arco di un solo pomeriggio d’estate, ruba la scena a tutti, il film poggia sulle potenti interpretazioni di Jamie Dornan, Caitrìona Balfe, Judi Dench, Ciaràn Hinds.
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Premio del pubblico a Toronto, poi alla Festa del Cinema di Roma, Golden Globe per la miglior sceneggiatura e soprattutto tante candidature ai BAFTA e agli Oscar.
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Dolor y gloria di Pedro Almodóvar, Roma di Alfonso Cuarón, È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino e naturalmente Amarcord di Federico Fellini. E ancora, perché no?, alcuni dei film amati dal piccolo Buddy, come Mezzogiorno di fuoco, Citty Citty Bang Bang, Un milione di anni fa, L’uomo che uccise Liberty Valance.