PER MIO FIGLIO

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Fuggita dalla clinica a Losanna, Diane vive da sette mesi un tormento senza pace. Da quando cioè qualcuno ha investito e ucciso il figlio Luc. “Le indagini sono ancora in corso” le dice il marito da cui si è separata, un investigatore privato però le lancia una pista. La macchina era una Mercedes color caffè chiaro e a bordo c’erano un uomo e una donna (al volante) e in zona (più o meno allargata) ci sono quattro auto che corrispondono grossomodo alla descrizione. I sospetti della donna cadono su una coppia a Evian, in Francia, dopo il confine. Comincia allora a seguirli, a conoscerli, chiacchierando amabilmente – e separatamente – prima con l’una e poi con l’altro, insinuandosi nelle loro vite, sempre sul punto di impugnare la rivoltella che nasconde in borsetta.

La questione su cui ruota questo revenge movie alla svizzero-francese (e ho detto tutto), assai studiato nei modi (tanto per dire: le prime sequenze sono mute, ci vogliono sei minuti per il primo scambio di battute) è praticamente: “fino a che punto si spingerà la protagonista?”. Il problema è che il regista, Frédéric Mermoud (al secondo lungometraggio dopo Complices, del 2009) sembra quasi che ci tenga a farci sapere che lui lo sa già e in fondo non importa, seminando indizi al riguardo, empatizzando da subito con la madre a scapito di altre più suggestive e torbide chiavi narrative e non trasformando mai – ad esempio – la sua mestizia in furia vendicatrice.

Così la crime story con indagine si allontana dagli incubi tipici del genere, anche perché non proprio originalissima (c’è chi ha fatto notare ad esempio che l’anno scorso la stessa Nathalie Baye interpretò un ruolo simile a quello della protagonista Emmanuelle Devos in La volante). In effetti sarebbe più giusto parlare di racconto di un dolore e della sua elaborazione, cui fa da ambiente adeguato il panorama elegante, ma un po’ accidioso e malinconico, del Lago di Ginevra (o Lemano) in cui è ambientato. In realtà il libro da cui è tratto, Moka (è il colore dell’auto) di Tatiana De Rosnay, si svolge invece tra Parigi e Biarritz, ma almeno emotivamente non c’è dubbio che lago, montagna, i colori tenui dell’autunno, aiutino di più a costruire il pathos. Premio Piazza Grande Variety al festival di Locarno.