Il nome della rosa, tutti i segreti della serie evento con John Turturro e Damian Hardung

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il nome della rosa

Pensare all’impresa fa tremare i polsi. Prendere un capolavoro come Il nome della rosa di Umberto Eco e trasformarlo in una serie tv. Con una messa in scena da kolossal per competere con le grandi produzioni internazionali. E decine di riferimenti storici, citazioni colte, dissertazioni filosofiche tra cui destreggiarsi, mentre nella testa dello spettatore
si affollano ancora oggi le immagini del film diretto da Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery avvolto nel saio e intento a risolvere misteri.

 

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Chiunque abbia condannato qualcuno come eretico, ingiustamente e senza alcun fondamento, si è macchiato della più grave delle eresie. #ilnomedellarosa

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Dopo cinque anni di lavoro serrato e appassionante, è arrivato finalmente il momento del debutto della serie Il nome della rosa, prodotta da Matteo Levi (11 Marzo Film), Carlo Degli Esposti e Nicola Serra (Palomar), con Telemunchen in collaborazione con Rai Fiction e distribuita nel mondo da Tmg International. In onda da lunedì 4 marzo in prima serata su Rai 1, le quattro puntate da 100 minuti ci riportano al 1327, quando il francescano Guglielmo da Baskerville (qui impersonato da un imperdibile John Turturro) si trova
a indagare su alcuni omicidi compiuti in un’abbazia nel Nord d’Italia. Al suo fianco troviamo il novizio Adso da Melk (Damian Hardung, 20 anni, nel ruolo che al cinema fu dell’allora sedicenne Christian Slater).

 

 

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“Il mondo è un grande libro. Dobbiamo solo imparare a leggerlo correttamente.” #ilnomedellarosa

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“Il nome della rosa è più di un romanzo. È un libro che parla di libri e che contiene tanti libri. La struttura di un giallo (ispirato a quelli di Agatha Christie e Arthur Conan Doyle) è solo la geniale ossatura. È una fortuna trarre una serie da un romanzo così complesso. Ho cercato di usare tutto quello che il testo offriva perché è pieno di elementi di una modernità
impressionante», racconta con entusiasmo il regista Giacomo Battiato, che ha scritto l’ultima stesura della sceneggiatura insieme ad Andrea Porporati, Nigel Williams e John Turturro, mentre Umberto Eco, scomparso il 19 febbraio 2016, ha supervisionato la produzione fino ai soggetti di serie.

 

 

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Mette la fede davanti a tutto, come il suo scudo in battaglia. #AlessioBoni è Dolcino. #IlNomedellaRosa, dal 4 marzo su Rai 1 e Rai Play.

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Lo show è fedele al romanzo?
Nella serie c’è lo spazio per raccontare il libro, elaborarlo e tradurlo in immagini. Ma una parte della storia che ho sviluppato potrebbe sorprendere chi ha letto il romanzo. Nel testo Eco fa diversi riferimenti alla setta dei Dolciniani, nello show invece questi personaggi prendono vita, diventano parte integrante del racconto e regalano molte scene d’azione e di movimento. Dolcino (che ha il volto di Alessio Boni, Nda) e i suoi seguaci sono i
rappresentanti di una di quelle eresie francescane che al tempo si batterono contro la corruzione della Chiesa e la disuguaglianza sociale. Prima usarono le parole e poi si armarono, diventando terroristi per purificare il mondo. La vicenda de Il nome della rosa si colloca in un’epoca rivoluzionaria. Non fu affatto un periodo buio, ma coloratissimo
con picchi artistici nella pittura e nella poesia. In realtà nell’Alto Medioevo si gettarono le basi della separazione tra religione e politica, tra Chiesa e Stato. Nacquero allora dibattiti ancora oggi irrisolti.

 

 

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Vivrà d’amore fino a morirne. #GretaScarano è Margherita. #IlNomedellaRosa, dal 4 marzo su Rai 1 e Rai Play.

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Quali sono i temi di attualità affrontati da Il nome della rosa?
Io ho fatto un film lungo otto ore. Ma in questo spettacolo che si svolge in un’abbazia nel 1300 ci sono tantissime cose che lo spettatore di oggi può cogliere come sue. C’è l’idea di un’Europa laica e unita, mentre la religione non deve interferire nella vita politica e pubblica dei cittadini. Si racconta di guerre e di rifugiati, come la ragazza occitana (amata da Adso, Nda). Altri temi sono il rispetto della donna e del suo ruolo nella società. Per i Dolciniani c’era un’eguaglianza assoluta: le donne combattevano insieme agli uomini.

 

Avete dato più spazio ai personaggi femminili?
La ragazza occitana è interpretata da Antonia Fotaras, giovanissima ed una vera scoperta. Lei recita in lingua d’Oc (o occitano, parlato nella Linguadoca nel Sud della Francia attuale, Nda). L’ho mandata a impararla all’Università di Salerno, dove viene studiata ancora oggi. Greta Scarano invece interpreta due ruoli. Il primo è quello di Margherita, una donna aristocratica e un’eroina messa al rogo, che Eco cita come compagna di Dolcino. Il secondo è quello di Anna: lei non c’è nel romanzo, ma, quando ho scoperto che secondo alcuni documenti Dolcino e Margherita ebbero una figlia, è nata l’idea di darle un corpo, una voce, un viso e farla diventare un personaggio della storia.

 

 

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Affamata d’amore e assetata di vendetta. #GretaScarano è Anna. #IlNomedellaRosa, dal 4 marzo su Rai 1 e Rai Play.

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Perché avete scelto di lavorare con un cast internazionale, facendo corrispondere le nazionalità degli attori e quelle dei personaggi?
Il mio principio era condiviso con la direttrice casting Anna Zaneva. Abbiamo cercato attori provenienti dagli stessi Paesi d’origine dei personaggi descritti nel libro perché in presa diretta si creasse il gioco degli accenti e poi perché un italiano non è un tedesco né un inglese. Mentre John Turturro, che è americano, ha fatto due mesi di coaching per l’accento, oltre che un lavoro gigantesco di immersione nel romanzo per diventare Guglielmo da Baskerville. Sono davvero entusiasta del cast! Le confesso un segreto, quando vedo un attore che recita male mi viene una vera depressione.

 

Perché un regista immagina un cast, sceglie gli interpreti ma poi sul set può succedere che le sue aspettative vengano deluse. Io invece sono stato fortunato. Ho ricevuto di più di quello che avevo sperato dalla bravura di Antonia e Greta. Ma vedrete anche che cosa è Bentivoglio, con una presa diretta in inglese perfetta! E poi il grande lavoro di Stefano Fresi, un Salvatore irriconoscibile con le sue quattro ore di trucco. Sul set c’era anche Michael Emerson, un grandissimo attore di teatro che molti conoscono per Lost. Durante le riprese a Cinecittà Michael ha postato un tweet: Sto girando Il nome della rosa e sono steso a terra dal talento degli attori italiani». Si stava riferendo, in particolare, a Bentivoglio e a Fresi.

 

 

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Conosce mille lingue e altrettanti padroni. #StefanoFresi è Salvatore. #IlNomedellaRosa dal 4 marzo su @rai1official e @raiplay_official

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Come è stato lavorare con John Turturro?
Quando si è cominciato a parlare di chi doveva interpretare Guglielmo da Baskerville, volevo distanziarmi il più possibile da Sean Connery. E poiché siamo andati oltre la storia dell’indagine, volevo un attore che avesse una capacità intellettuale diversa, più profonda.
Così siamo arrivati a Turturro. Per due mesi tutte le sere su Skype abbiamo lavorato sul suo personaggio, creandolo insieme. Infatti John è cosceneggiatore. La copia del romanzo di Eco a nostra disposizione ormai è ridotta a una vecchia pergamena, da quanto l’abbiamo utilizzata. Durante le riprese io e lui passavamo i weekend insieme a studiare ogni dettaglio. C’è stata un’identificazione assoluta con il personaggio e come Eco l’ha pensato.

 

 

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Dal best seller mondiale di #UmbertoEco #IlNomeDellaRosa? Da lunedì #4marzo su #Rai1 e @raiplay_official

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Come avete scelto il giovane Adso?
Quando i distributori mi chiedevano di selezionare un attore inglese o americano, io mi sono battuto per cercarlo in Germania. E ho trovato questo ragazzo tedesco ancora poco conosciuto, Damian Hardung, con un inglese perfetto, una sensibilità e profondità uniche. Poi ho fatto in modo che tra lui e Turturro si creasse il rapporto che c’’è tra Adso e Guglielmo. Ed è stato meraviglioso e quasi estremo vedere come siano diventati praticamente padre e figlio, maestro e discepolo, anche al di fuori dal set.

 

 

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“Se non trovo più gioia nella Tua legge, morirò di tristezza.” #ilnomedellarosa

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Rupert Everett invece è Bernardo Gui…
Quando Rupert ha saputo che Palomar (che aveva già coprodotto il suo film The Happy Prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde) era al lavoro su Il nome della rosa, ha chiesto di fare parte del progetto. Ha voluto assolutamente incontrarmi, ci siamo visti a Londra. La cosa meravigliosa è che al termine del nostro incontro mi ha chiesto: Ma tu pensi che alla
fine io possa davvero farlo?». Mi sembrava un attore alle prime armi. Aveva un candore impressionante.

 

 

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“Uccideteli tutti. Dio riconoscerà i suoi”. #ilnomedellarosa

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Sul set ha lavorato con John Conroy, già direttore della fotografia di Happy Prince. Come avete creato l’immagine della serie?
Io mi sono trovato di fronte a un vero dramma personale. Ho girato una serie che si svolge tra monaci soprattutto benedettini, il cui saio è nero, in un’abbazia di alta montagna dove c’è neve, bianca. In qualche modo avrei girato un film in bianco e nero. Ma in realtà il Medioevo è un’epoca coloratissima. Con John abbiamo quindi deciso di tirare fuori il colore ovunque fosse possibile: dal saio color miele di Guglielmo, dalle decorazioni dei libri della biblioteca, dai mobili variopinti dello scriptorium. Inoltre ho girato solo con obiettivi grandangolari e la macchina a mano che sta addosso ai personaggi, respira con loro e ne segue ogni movimento. Nella storia poi non c’è l’illuminazione elettrica. La luce è data dal Sole, dal riflesso della Luna e da quello della neve, oppure ci sono le candele e i bracieri accesi. Questa è stata una bella sfida. Una delle cose che detesto nei film è quando le persone hanno in mano una candela, ma poi si vede tutto. Se succede nella serie, è contro la mia volontà!