In Italia si festeggia. Due film in concorso a Cannes 2018 e due Palme, un bel traguardo, al quale bisogna aggiungere il premio Label di Europa Cinémas a Troppa grazia di Gianni Zanasi e il Cannes C’Oeil d’or come miglior documentario a La strada dei Samouni di Stefano Savona, con le animazioni di Simone Massi.
Tornando al concorso, sono premi più che meritati quelli andati ad Alice Rohrwacher per la sceneggiatura, “bislacca”, come la definisce la stessa regista, di Lazzaro felice e all’interpretazione di Marcello Fonte in Dogman di Matteo Garrone, che dimostrano quanto il nostro cinema sia sempre più apprezzato dalle platee internazionali.
Ma lasciando per un momento da parte l’entusiasmo per le vittorie tricolori, applaudiamo la Palma d’Oro per Une affaire de famille del giapponese Hirozaku Kore-eda, che con struggente poesia torna a riflettere sulla famiglia a partire da un fatto di cronaca e che sin dalla prima proiezione si è accomodato in cima alla classifica dei film più amati di questa edizione. Ottima anche la scelta di assegnare il Grand Prix a Blackkklansman di Spike Lee che accosta l’America razzista degli anni Settanta a quella dell’era Trump in una commedia divertente e amara al tempo stesso con un drammatico finale che rievoca i terribili scontri di Charlottesville nell’estate del 2017.
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“Nessun premio politico”, aveva annunciato Cate Blanchett, presidente di giuria di Cannes 2018, il primo giorno del festival, eppure il Palmares di questa edizione è riuscito a coniugare quasi sempre arte e denuncia, stile e indignazione. Se Spike Lee punta il dito contro un’intolleranza e una violenza che non riguardano più solo gli Usa, ma il mondo intero, Kore-da piange l’infanzia trascurata, negata e avvilita, come fa anche Capharnaum della libanese Nadine Labaki, premio della Giuria, un film forte ma decisamente ricattatorio, che prende per la gola lo spettatore con la storia di un bambino senza identità in lotta per la sopravvivenza nelle sudice strade di Beirut.
Poveri ed emarginati, migranti e donne abusate, conflitti e ferite che spaccano il mondo: sono questi insomma i temi che la giuria ha privilegiato senza dimenticare l’originalità dello sguardo degli autori. Per questo 3 Faces dell’iraniano Jafar Panahi, atteso sulla Croisette da una sedia rimasta vuota, condivide con la Rohrwacher il premio per la sceneggiatura con un road movie che prende le mosse all’indomani dell’appello di una ragazza ad essere liberata.
Samal Yeslyamova vince come miglior attrice per Ayka del kazako Sergey Dvortsevoy interpretando una giovane donna kirghisa senza denaro e permesso di lavoro, costretta ad abbandonare il figlioletto appena partorito per tentare di sopravvivere in una Mosca dal cuore in inverno. Mentre Cold War di Pawel Pawlikowski, premio per la migliore regia, sceglie una storia d’amore ambientata nella Polonia del secondo dopoguerra per riflettere sulle difficoltà di chi vive in esilio, sotto un regime totalitario, cercando di difendere la propria identità in una cultura diversa. Una Palma speciale poi è stata assegnata a Le livre d’image di Jean-Luc Godard, per sua capacità di ridefinire con il suo caleidoscopio di immagini l’arte del cinema, offrendo uno sguardo dolente su un mondo lacerato da guerre e profonde ingiustizie.
Come sempre accade nei Festival sono restati fuori dal Palmares altri ottimi film, ma nessun rimpianto per quelli francesi che, con l’eccezione di En guerre di Stéphane Brizé, si sono dimostrati molto al di sotto della qualità richiesta dalla competizione di Cannes.
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(foto di Pietro Coccia)