Dogman, la recensione del film di Luc Besson a Venezia 80

Il film con Caleb Landry Jones sarà al cinema dal 5 ottobre con Lucky Red

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Caleb Landry Jones, Dogman

L’idea per Dogman, il nuovo film di Luc Besson presentato in concorso a Venezia 80, è venuta al regista leggendo un articolo di cronaca su una famiglia francese che aveva rinchiuso il proprio figlio di 5 anni in una gabbia. Un sorprendete Caleb Landry Jones è protagonista di una storia straziante e al tempo stesso affascinante, che sarà al cinema dal 5 ottobre con Lucky Red.

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IL FATTO

Douglas è nato in una famiglia disfunzionale, suo padre, violento e anaffettivo, da bambino lo rinchiude nella gabbia dei cani che addestra per i combattimenti clandestini. In quello spazio angusto, sporco e malsano il ragazzo però sperimenta l’amore semplice, eppure puro e fedele di cui solo i cani sono capaci. Questo sentimento lo accompagnerà per tutta la vita, fino a diventare la sua vera forza in un mondo aggressivo che lo rifiuta.

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L’OPINIONE

Con Dogman Luc Besson si conferma maestro nel tratteggiare storie che vedono protagonisti personaggi controversi, fuori dal comune, vessati dalla vita e dalla società, ma capaci di sviluppare risorse del tutto inaspettate e che suscitano un indubbio fascino. Come già accaduto per Nikita (1990), Lèon (1994) e Lucy (2014), dopo diverse esperienze anche nel campo della serialità televisiva, il regista francese torna alla creazione di un racconto introspettivo, perverso e quasi epico per il grande schermo, che mette al centro della storia un unico personaggio dai tratti ambigui, sofferenti, ma a suo modo eroico.

Dogman è il frutto di una riflessione profonda sulla capacità di resistenza dell’essere umano al dolore, sia fisico che interiore. Douglas è un ragazzo dall’animo profondamente sensibile e quindi, già in partenza, destinato ad andare incontro alla sofferenza, ma la vita sembra accanirsi su di lui in modo particolare infliggendogli una serie di orrori al limite della sopportabilità.

Da adulto comincia a farsi chiamare Dogman, come a voler seppellire anche il nome di quel bambino maltrattato e succube, per sottolineare invece la sua vera forza: l’amore incondizionato e reciproco che riceve dai suoi cani. Le ferite che si porta addosso, nella carne e nell’animo, diventano per lui e i suoi cani la risorsa con cui gestire le debolezze e soprattutto la crudeltà degli esseri umani.

Il protagonista di Dogman è un impasto di dolore e desiderio d’amore, follia e lucida presenza di spirito, interpretato in modo ipnotico da Caleb Landry Jones. 33 anni, già vincitore nel 2021 del premio come miglior attore al Festival di Cannes per Nitram, Jones ha recitato precedentemente in Scappa – Get Out, Tre manifesti a Ebbing, Missouri, Un sogno chiamato Florida e nella nuova serie di Twin Peaks.

Grazie alla sua fisicità imponente addolcita dai lineamenti delicati, quasi eterei, di un volto diafano che sa restituire anche sguardi agghiaccianti, Jones è l’interprete perfetto del personaggio di Dogman, in cui contrasti e ambiguità trovano un equilibrio spiazzante e quasi affascinante.

Sebbene Douglas incarni i tratti di una follia criminale piuttosto estrema, nel film Besson ci aiuta a guardare al personaggio con uno sguardo privo di giudizio, che arriva persino a far comprendere la lucida etica sottesa a certe azioni. Senza dover ricorrere ad un facile pietismo o ad una sorta di perversa complicità, il regista ci pone di fronte ad un personaggio che in qualche modo potrebbe assomigliare ad ogni essere umano, perché mosso da sentimenti e considerazioni non estranei a chiunque abbia sperimentato il dolore.

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Guardando Dogman risulta impossibile non pensare a Joker di Todd Phillips. I tratti di Dogman ricordano quelli del folle e dolente personaggio interpretato da Joaquin Phoenix, vincitore del premio Oscar per questo ruolo, e la storia del film segue in modo piuttosto simile l’andamento narrativo dell’opera di Phillips.

RASSEGNA PANORAMICA
voto
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