Fabiana Sargentini e “La pitturessa”, tra arte, gioco e memoria

La regista parla a Ciak del doc su sua madre, l'artista Anna Paparatti. In anteprima alla Festa del Cinema e a febbraio nelle sale per Lo Scrittoio

0

È Anna Paparatti La pitturessa del nuovo film di Fabiana Sargentini (Non lo so ancora), prodotto dalla regista con Riccardo Biadene e Valeria Adilardi per Kama Productions e FilmAffair e presentato il 21 ottobre alla Festa del Cinema di Roma (sezione Freestyle), in attesa di vederlo nelle sale a febbraio dell’anno prossimo per Lo Scrittoio.

Artista, protagonista della Neoavanguardia italiana (e romana) degli anni ’60 e ’70, compagna di Fabio Sargentini (dalla cui galleria L’Attico sono transitati nomi come Pino Pascali, Jannis Kounellis, Luigi Ontani e altri ancora), Anna Paparatti è oggi una magnifica ottantasettenne che nel 2021 è stata riscoperta attraverso una mostra e nel 2022 chiamata da Maria Grazia Chiuri per curare le scenografie della Maison Dior, a partire da alcuni suoi lavori giovanili. Ma è anche la madre della regista che la racconta in questo documentario, rievocandone il percorso, mostrandone la quotidianità e il riflettendo sul complesso rapporto che lega le due donne.

«Il primo motore è stata la sfilata di Dior», racconta Fabiana Sargentini a Ciak, «con quadri di cinquant’anni prima diventati “attuali”, e con cui lei ha potuto fare qualcosa di nuovo ottenendo un simile riscontro. Mi sono detta, come regista, di doverlo raccontare. E poi c’è il fatto che questi quadri erano stati dipinti prima dell’incontro con mio padre, Fabio Sargentini, e della mia nascita. La mia domanda perciò era se questi fatti, l’aver conosciuto mio padre e il mio arrivo, avessero condizionato in qualche modo la sua carriera. Il che è un dato di fatto, ma è un fatto negativo o positivo? Io avevo la “colpa” di qualcosa?».

Una domanda che però non fa venire meno la leggerezza con cui il film ritrae la protagonista, in perfetta sintonia con la dimensione ludica così importante nella figura di Paparatti e nel suo modo di intendere e vivere (non solo) l’arte. «Lei è più aerea delle altre persone, io effettivamente lo sono di meno, ma nel film abbiamo raggiunto questa dimensione, volando con una certa ironia sulle ambivalenze e sui momenti di difficoltà del nostro rapporto», afferma Sargentini, che già in passato si era esposta cinematograficamente nella relazione con i propri affetti, compreso il padre cui aveva dedicato un precedente lavoro per vent’anni addietro. «Ma era un film commissionato», ricorda, «quest’altro mi ha stupito perché ho avuto il desiderio di farlo. E nel frattempo io sono cambiata».

Un’altra differenza non da poco sta anche nell’essere un film su una donna pittrice, in un’epoca dove per le artiste era particolarmente arduo emergere ed essere riconosciute come meritavano. Oggi le cose stanno cambiando? «Almeno se ne parla, prima neanche quello», risponde la regista, che comunque, prima e oltre ogni critica femminista, ha voluto narrare «la storia di mia madre, che a sua volta contiene altre cose, ma nessuna doveva prevalere: è un racconto più aperto, più ampio».

Ed è, anche, il racconto di un contesto e momento storico straordinario per voglia di sperimentare e liberarsi creativamente. Ora invece «ci sono delle cose che si sono un po’ “corrotte” anche nel mondo del cinema: nel senso che se tutto viene commercializzato, ridotto al solo valore economico, al ritorno in termini di guadagno, perdi qualcosa».