La morte è un problema dei vivi, parola di Teemu Nikki

Il prolifico regista finlandese di Il cieco che non voleva vedere Titanic è alla Festa di Roma

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La morte è un problema dei vivi di Teemu Nikki

In concorso alla Festa del Cinema di Roma 2023, nella sezione Progressive Cinema, La morte è un problema dei vivi riporta in Italia il filmmaker finlandese di Il cieco che non voleva vedere Titanic. Distribuito prossimamente da I Wonder Pictures, come i suoi precedenti, il film di Teemu Nikki offre – a lui e a noi – l’occasione di parlare di dipendenze e amicizia, temi portati sullo schermo da Pekka Strang e Jari Virman, che abbiamo incontrato insieme al loro regista.

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Il primo è il becchino Risto Kivi, un uomo senza cuore, affetto da ludopatia e in crisi con la moglie, il secondo è Arto Niska, al quale a mancare è il cervello, o almeno la maggior parte, visto che dice di esser nato con l’85% in meno del prezioso organo e per questo di esser stato abbandonato da tutti. Insieme, i tre cercano maldestramente una soluzione alle loro esistenze, e ci raccontano l’esperienza. A partire dall’origine di questa storia di redenzione

“Non so perché si sia sviluppata così, spesso è difficile capire perché  una storia sia come poi viene realizzata – ammette lo stesso Teemu Nikki. – Ho iniziato a parlare molto della storia con loro e gli altri attori, di che tipo di film fare, ma è stato un processo, nel quale abbiamo lavorato insieme per cercare il giusto percorso, a partire da una storia di dipendenza e di amicizia“.

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Ha raccolto testimonianze o conosciuto qualche che avesse i problemi  di dipendenza di cui si parla?

Sì, c’è stato anche un aspetto personale nella genesi della storia, in qualche maniera, perché conosco molte persone con dipendenze e  perché anche io ne ho almeno una, visto che lavoro troppo. Tanto che a volte per me sembra essere la cosa più importante che ci sia. Mi interessava parlare della ludopatia, ma le dipendenze in generale sono molto comuni, e farlo con una storia che fosse piuttosto dura, ma nella quale non mancasse la speranza. Perché arrivasse il messaggio che anche se ne sei vittima, dalle dipendenze si può uscire.

Un personaggio senza cuore, uno senza cervello, hai mai pensato a inserirne uno senza coraggio, come il Leone del Mago di Oz?

In effetti no, non avevo pensato al Mago di Oz. Saranno 30 anni che non mi capitava… La storia sarebbe stata molto diversa, ma certo sarebbe stata una storia interessante.

La morte è un problema dei vivi di Teemu Nikki

Cosa volevate che arrivasse al pubblico, e che stile avete usato per riuscirci?

Il tema della dipendenza rientra nelle cose che cerco di capire. I miei film nascono sempre da qualcosa cui non riesco a non pensare. Per Il cieco che non voleva vedere Titanic era la cecità stessa, qui la dipendenza, ma può essere qualsiasi cosa. Quando voglio capire meglio qualcosa ci faccio un film. Quanto allo stile, invece, volevamo essere molto vicini agli attori, trovare un tono realistico, non da documentario, ma che non si nascondesse dietro certe pretese artistiche. Volevo mostrare il più possibile il lavoro degli attori, non volevo guardare altrove. Volevo essere lì, anche nelle scene in cui vivono i momenti peggiori.

Si parla di morte sin dal titolo, è stato qualcosa alla quale avete pensato molto durante il film?

Credo che la morte sia davvero il problema dei vivi, in fondo se sei morrto non ci pensi. E durante le riprese ci abbiamo inevitabilmente pensato molto, sicuramente per la storia, ma anche perché il nostro direttore della fotogragia ci ha lasciati mentre giravamo. Era un uomo anziano, ma il film per me è anche l’opera di un artista morto. Personalmente, credo di esser semplicemente felice di essere vivo.

Pekka Strang: È una questione che dobbiamo affrontare ogni giorno, ma sinceramente non ci ho pensato molto, ultimamente. Forse  proprio venendo qui, quando ci sono state delle turbolenze e mi son trovato a riflettere sul fatto di aver avuto una bella vita, fino a oggi.

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Come vi siete rapportati ai vostri personaggi?

Pekka Strang: Non ho mai pensato che Risto fosse davvero senza cuore, semmai un uomo in una di quelle fasi della vita in cui non sai quale sia il tuo problema, ma solo che stai soffrendo per qualche ragione. E non sai risolverlo, ma ti attacchi a tutto quello che puoi per restare vivo. Anche per me è stato importante il contatto tra noi, e la scelta di non guardare altrove. Ci abbiamo lavorato molto, ma ci conoscevamo già da prima, anche se la nostra amicizia è cresciuta grazie all’opportunità di fare questo film.

Jari Virman: Concordo, più o meno. Abbiamo parlato molto, più che recitare, ma soprattutto abbiamo evitato di fare battute, o scherzi, quelli che spesso trattando un tema difficile fai per allentare la tensione.

È stato diverso tornare a lavorare con Teemu?

Pekka Strang: Tra noi c’è molta fiducia, sul set è tutto molto semplice. Lui è molto diretto, ma ci conosciamo, se qualcosa non va non devo indovinare cosa sia, e viceversa. Ed è importante. Ci eravamo conosciuti 20 anni fa per il suo primo film, che fu un totale insuccesso, per quanto sia stato molto importante per la sua carriera. Se nelle scommesse quello che ti impedisce di staccartene sono le vincite, nel cinema sono i flop quelli che insegnano di più. E nel caso del film che dicevamo, poi Teemu e il produttore ne hanno fatto un documentario.

 

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