Venezia 80, Hollywoodgate, parla il regista: «Ora i talebani hanno armi con scritto NATO»

Intervista a Ibrahim Nash'at, Fuori concorso al Lido col suo doc sull'Afghanistan riconquistato dai talebani.

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«Non cercherò di farvi apparire cattivi o buoni, ma semplicemente così come siete davanti ai miei occhi: ciò che vedrò, mostrerò», aveva detto il regista Ibrahim Nash’at (A Moment with the Wind) ai talebani che hanno ripreso il potere in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe USA e NATO nel 2021. E per un anno, fino al 31 agosto 2022, il documentarista (nato in Egitto e attivo in Germania) ha filmato i miliziani islamisti che restaurano il loro regime. Ne è uscito Hollywoodgate, Fuori concorso all’80ma Mostra del Cinema di Venezia.

«Volevamo raccontare al mondo in che mani era stato lasciato il Paese», spiega Nash’at, «Loro all’inizio erano euforici per aver vinto la guerra, si comportavano come se fossero aperti al mondo e avessero voluto lasciare libere le donne e instaurare un governo inclusivo, un sacco di bugie, ma volevano fornirmi una prova portandomi lì». Anche per questo «la parte più difficile non è stata ottenere l’accesso, ma mantenerlo».

Nel film, non a caso, vediamo momenti in cui i talebani ordinano di smettere di girare, e lo stesso Nash’at ci confessa di aver dovuto tagliare alcune scene: «Mi hanno preso la videocamera un paio di volte, hanno minacciato di imprigionarmi: sono un grande gruppo molto caotico, quindi puoi trovarti con qualcuno a cui va bene che li filmi, poi arriva un altro che ti dice “Sei sotto indagine”, e dopo cinque o sei ore ti fa: “Mi dispiace, non sapevo avessi questo permesso”. Governa il caos, e come esterno ero più al sicuro, ma per gli afghani non c’è sicurezza».

«Ciò che ho affrontato», sottolinea infatti il regista, non è paragonabile a «ciò che il popolo afghano sta affrontando oggi», dopo decenni di guerra che hanno «completamente distrutto la nazione». Lasciando, nel caso degli ex occupanti occidentali anche un cospicuo numero di armi, equipaggiamento militare e aerei ai talebani, come viene mostrato nel film che ha inizio nella base americana abbandonata “Hollywood Gate”.

Un’immagine di Hollywoodgate.

«Quando siamo andati lì», ricorda il filmmaker, «e abbiamo scoperto le armi, abbiamo capito che la vicenda era molto più grande». Chiamando in causa i governi che hanno mosso quel conflitto: «Sei un buon cittadino e  paghi le tasse, poi scopri che I tuoi soldi in parte sono finiti nelle mani di uno dei tuoi nemici, che ora ha delle armi su scritto NATO».

Nash’at, allora, auspica di «portare all’attenzione del mondo la realtà di cosa gli afghani stanno passando, perché per anni nell’ideologia occidentale si è pensato che, quando c’era una minaccia da qualche parte, bisognasse muovere guerra». Ma «se proviamo a far sì che la gente capisca cosa succede dall’altra parte, magari troveranno una soluzione per gestire queste situazioni in un modo migliore che bombardando, perché bombardare porta a danni collaterali».

Ed emergono, nel doc, i paradossi dello stesso establishment talebano: «Sembrano non essere in grado di fare dei semplici conti, ma sono capaci di riparare le armi e sanno come far volare gli aerei e di colpire dove gli serve», racconta il regista. A sua volta il produttore Shane Boris parla di una coesistenza di «ignoranza e sofisticazione», che vale anche per la concessione di realizzare il film: «C’è non solo l’intenzione di usare le armi lasciate lì dagli americani, ma di usare questa nuova arma appresa da Hollywood, che è l’arma dei media».