LUDOVICO DI MARTINO: DALLA WEB SERIES “ROLES” AL CORTO “INVISIBILE”

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invisibileOvviamente non si tratta di coincidenze. Il protagonista di Roles, la web series che ha fatto conoscere al mondo della Rete Ludovico Di Martino, ha per protagonista un ventenne, ucciso da un colpo di pistola, che dal suo nulla guarda e indirizza le vite di sette amici. Anche nel film che ha scritto ed ora sta girando, Il nostro ultimo, è nuovamente una presenza/assenza, quella della madre appena morta, a guidare due fratelli (Fabrizio Colica e Guglielmo Poggi) in un viaggio nella memoria e alla ricerca di se stessi. In questo modo, Di Martino (22 anni) condivide una questione cardine della sua generazione, quella di una precarietà tanto concreta quanto esistenziale, ma dimostra soprattutto di essere riuscito a trasformare un sentimento generazionale in una poetica di notevole forza espressiva. Una coerenza tematica, un’urgenza artistica, che è riuscito a confermare anche in questo corto, nonostante sia stato costretto a realizzarlo e a girarlo secondo le regole/ostacoli un po’ alla von Tier dei tempi di Dogma (genere, un personaggio, un oggetto e una battuta sono imposti dal regolamento, oltre alle 48 ore per girare) del 48 Hour Film Project 2014.

invisibileCome Roles utilizzava il noir per ragionare sull’apparire e l’essere nella vita e nella società di un gruppo di ragazzi, Invisibile trasforma l’idea del “ruolo” in un concetto ancora più metaforico, grazie al fantastico e al mitologico. Pasqualino (l’espressivo Alberto Paradossi) è un cupido che da quasi 4000 anni vaga sulla terra facendo innamorare le persone. È un creatore d’amore con t-shirt e benda sugli occhi che somiglia a un qualunque ventenne, e il sentimento lo dispensa con un gesto secco, una “pittata” di vernice rossa sul volto delle persone. Ma Pasqualino è un cupido inquieto, un po’ come gli angeli del wendersiano Cielo sopra Berlino, e si innamora di una prostituta. Anche se gli amici amorini lo mettono in guardia, avvertendolo che innamorarsi significa diventare per sempre invisibili, lui si pittura la faccia di rosso (soffrendo e urlando), raggiunge la sua amata, e, finalmente, si strappa la benda. Nove minuti di crudele e tenera poesia, che ragiona sull’amore, ma anche sul vedere ed essere ciechi di fronte alle cose mondo, il senso dell’esistenza, la necessità della ribellione. Un altro tassello del suo personale universo poetico.

Guarda il corto!

INTERVISTA CON LUDOVICO DI MARTINO

Romano, 22 anni, padre e madre restauratori d’affreschi, ex-rugbista (sport che gli ha permesso di interpretare un ruolo nella squadra di Il terzo tempo opera prima di Enrico Maria Artale e di passare un utile mese su un set), Ludovico Di Martino esordisce come autore e regista della web series Roles, che ha vinto il Roma Fiction Fest-Web 2013, e gli ha permesso di superare le selezioni per entrare al Centro Sperimentale, dove sta per diplomarsi in regia .  (miglior film, miglior cast, miglior montaggio). Ad entrambi i progetti hanno partecipato, sia nel cast che nella troupe, allievi ed ex-allievi del Centro Sperimentale. Ora è sul set del suo primo lungometraggio, Il nostro ultimo, film indipendente con la produzione esecutiva di Gianluca Arcopinto.

Partiamo da Roles, che è stato anche il tuo passaporto per entrare al Centro Sperimentale. Com’è nato questo progetto?

La serie è molto autobiografica, tanto che Gabriele, il ragazzo morto, sono proprio io e la sua condizione rispecchia la mia adolescenza a Roma Nord, e quelli che gli stanno intorno sono le persone dalle quali all’epoca stavo scappando.Â È nato direttamente come una serie per il web grazie a Stefano Santucci, che ha contribuito all’aspetto sia economico che di impostazione del progetto, fungendo da vero e proprio produttore della serie. Trovo che la Rete sia un ring molto onesto, sei tu contro te stesso che vai a verificare se ti riesce di comunicare con più persone possibili, senza filtri, senza la complicazione della distribuzione e della sala, in modo diretto. L’esperienza è stata decisamente interessante, da ripetere.

A parte la vittoria di Invisibile, che è ovviamente gratificante, hai trovato positiva anche l’esperienza tour de force del 48 Hour Film Project?

Molto. Per me è stata una grande lezione su come si dovrebbe fare cinema: poco tempo e regole ferree, che ti impongono di abbandonare il classico atteggiamento amletico dell’artista, perché mentre stai lì a macerarti ti accorgi che ti restano ancora 36 ore, e devi finire di scrivere, girare e montare…Due anni prima ci avevo già provato, ma non abbiamo consegnato in tempo. Stavolta, anche quando ci hanno rifilato un pennello come oggetto obbligatorio, non ho avuto problemi a trovargli un ruolo. Un bel gioco che ti insegna molto. Però Invisibile non è l’inizio di qualcosa. Non amo molto l’arte del riciclo.

Infatti ora debutti nel cinema “vero” con un lungometraggio. Di che parla e com’è nata questa storia?

Il nostro ultimo racconta il viaggio in auto di due fratelli, che sono Fabrizio Colica e Guglielmo Poggi, verso sud, da Roma alla Sicilia. Come se partissero per una vacanza, solo che sul tetto dell’auto hanno legato una bara con dentro il cadavere della madre. La madre è morta dopo una lunga malattia e, negli ultimi giorni, ripeteva sempre che avrebbe voluto tornare al mare, dove la famiglia andava ogni estate tanto tempo prima. Non essendo riusciti a realizzare questo suo desiderio quando era viva, decidono di farlo dopo che è morta, partendo senza avvertire nessuno, d’istinto e all’improvviso. Nel viaggio si confrontano con vari personaggi e, soprattutto, con loro stessi. L’idea è nata da un articolo di una psicoanalista, che analizzava le cinque fasi che segnano il percorso dell’elaborazione del lutto. Era il progetto, mai andato in porto, del primo 48 Hour Film Project a cui ho partecipato.

In questo caso qual è la sfida che ti affascina di più?

Da un punto di vista artistico e ideale certamente la possibilità di poter raccontare una storia in 90 minuti invece che in 5. Invece, l’elemento di sfida più pratico, riguarda il budget. Il film è stato scritto e pensato, visto che inizialmente era un progetto indipendente, rigorosamente low budget. Così è rimasto: quattro settimane per girare e fare il nostro viaggio.

Stefano Lusardi