WEB SERIES: “A FAMIGGHIA”, I CLICHÉ SICILIANI DIVENTANO BUSINESS

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A Famigghia

(Italia, 2015)

a famigghia1Non sappiamo granché di Ciccio (Francesco Natoli), Simone (Simone Corso) e Peppe (Giuseppe Contarini). Solo che sono tre giovani siciliani, che tutti e tre sono alle prese con difficoltà esistenziali (disillusi dall’amore, dalla politica, dall’arte teatrale) e che non sanno bene come sbarcare il lunario. Così si arrendono allo stereotipo siciliano (coppola-lupara-caffè-granita-arancino) e lo trasformano in attività turistica: creano una società, A Famigghia appunto, comprano un pulmino, caricano turisti (stranieri, perfetti per lo stereotipo) e li portano a visitare i luoghi dov’è stato girato Il Padrino. Il primo tour con due turiste di lingua inglese viene raccontato dal creatore e regista della serie Angelo Campolo, che è prima di tutto un giovane brillante autore regista e attore teatrale, con surreale e svagata ironia, ma anche con uno stile imprevisto e sperimentale, fatto di accelerazioni e sottrazioni, divagazioni e contraddizioni, imitando in ognuno dei cinque episodi un diverso genere cinematografico e rendendo così A Famigghia qualcosa che continua a mutare e a cambiare pelle. In questo caso la forma è anche la sostanza, in quanto il tema molto pirandelliano della serie è quello dell’apparenza. Nessuno, infatti, è ciò che mostra di essere e perfino ciò che accade non è realtà ma rappresentazione: per fare il loro lavoro i tre si “travestono” e studiano perfino la lingua “giusta” (che non è il loro messinese), le due clienti, Rose e Isabel si presentano con un’identità falsa, il rapimento che dovrebbe rendere eccitante l’avventura è simulato con la complicità di un cugino, i luoghi visitati sono quelli sbagliati e perfino l’eccentrico “navigatore spirituale” non serve a trovare la strada, ma solo a smarrirsi. Solo l’ultima puntata, quella rivelatoria, svela un’urgenza di realtà e rende evidente un amaro atto d’accusa contro l’immobilità culturale, sociale e politica non solo di una regione, ma di un intero paese. Stanchi dell’apparenza, i tre ragazzi portano le due turiste al mare, si spogliano di quel che hanno finto di essere, non solo metaforicamente, e nuotano finalmente nell’acqua, che libera e rigenera. Un po’ come la meraviglia Antoine Doinel davanti al mare, nel finale dei 400 colpi. Perché i desideri della giovinezza sono sempre gli stessi, e purtroppo anche la disillusione sempre si somiglia.

www.youtu.be/3Hn2EKMfPd4

Intervista ad Angelo Campolo, Francesco Natoli e Simone Corso

Nato a Messina nel 1983, Angelo Campolo si è diplomato in recitazione nel 2005 al Piccolo Teatro di Milano con Luca Ronconi. Oltre a lavorare come attore teatrale con registi come Ronconi e Calenda, ha recitato sia al cinema (La prima linea, Seconda primavera) che in televisione (Distretto di polizia, Squadra antimafia). Nel 2002 ha fondato a Messina, con Giuseppe Ministeri, l’Associazione culturale DAF, dirigendo diversi spettacoli per la compagnia Teatro dell’Esatta Fantasia, fra i quali Otello – Una storia d’amore di cui è anche autore (2013, premio Scintille all’Asti Teatro Festival) e Istinto (2015). Prima della web series A Famigghia, premio della giuria al Sicily Film Festival, ha scritto, diretto e interpretato due corti, sempre prodotti dalla DAF: A domani (2002, premio della giuria al Taormina Film Festival) e Un’altra mattina (2009, premio del pubblico al programma La 25ora su La7). Sta già lavorando alla seconda stagione di A Famigghia. Francesco Natoli (24 anni) e Simone Corso (26) sono, con Giuseppe Contarini, gli interpreti della web series. Campolo, nel ruolo del protagonista, Natoli (Orazio) e Corso (Marcello e il becchino) hanno appena concluso la tournée di Amleto diretto da Ninni Bruschetta, che verrà ripreso la prossima stagione.

a_famigghia3Com’è nata l’idea della serie?

Angelo Campolo: Il progetto è nato durante un laboratorio teatrale che ho tenuto al DAF, al quale hanno partecipato Giuseppe, Francesco e Simone. La convivenza e la confidenza che si creano stando insieme in scena mi hanno fatto scoprire la naturale fotogenia di Giuseppe e la bella scrittura di Simone, oltre a rappresentare la base su cui ho costruito i tre personaggi. L’idea dell’on the road fra i luoghi dov’è stato girato Il Padrino è invece un omaggio indiretto ad un documentario realizzato diversi anni fa proprio su questo tema dal regista Francesco Calogero. Ma il sentimento più profondo che sta all’origine di tutta la storia è il nostro rapporto con Messina, una città che, dai tempi ormai remoti in cui venne distrutta dal terremoto, ha perduto la propria identità, generando una senso di spaesamento, che torna anche nella serie, quando i tre protagonisti “studiano” il “vero” siciliano.

Perché hai scelto la web serie come mezzo espressivo?

A.C.: Perché il web è l’unico spazio dove posso replicare l’esperienza del DAF cioè di una realtà culturale che ci permette autonomia produttiva e una totale libertà creativa. Solo grazie al web ho potuto infatti girare A Famigghia come una specie di prova generale per un film, sperimentando in piena libertà una serie di variazioni di stile, dal mockumentary della prima puntata fino alla macchina a mano dell’ultima, dove cadono le maschere e i luoghi comuni.

Anche voi attori confermate questa idea di sperimentazione ed estrema libertà che sta alla base della serie?

Simone Corso: Libertà, un buona dose di incoscienza, almeno da parte nostra, e un gioco di equilibrio molto affascinante fra verità e finzione, perché ci siamo ritrovati a “mettere in scena” un po’ noi stessi, in quanto i tre personaggi ci somigliano parecchio, e sul set vita e recitazione hanno continuato a confondersi in maniera creativa. Tanto per fare un esempio concreto, una delle due turiste è l’ex fidanzata canadese di Francesco.

Francesco Natoli: Abbiamo girato in dieci giorni, utilizzando un copione di base, ma con ampio spazio all’improvvisazione. Angelo ha visto il nostro potenziale sulla scena e lo ha portato davanti alla camera, senza imporre il suo punto di vista e lasciandoci liberi di esprimerci, di sperimentare.

Stefano Lusardi