TIM BURTON A ROMA: «ANCH’IO DA BAMBINO ERO UN “RAGAZZO SPECIALE”»

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I ragazzi un po’ “strani”, quelli solitari e sensibili, lunari e un po’ misteriosi, che si muovono a disagio nel mondo che li circonda quasi appartenessero a un altrove lontano, hanno sempre attirato la sua attenzione. E ora Tim Burton torna a raccontarli traducendo sullo schermo il romanzo di Ransom Riggs, Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali, favola dark, cucita addosso all’indole del regista di Edward mani di forbice, che con ogni film aggiunge un capitolo alla storia della propria infanzia. E questa volta arriva alla presentazione insieme a una ragazza davvero specialissima, la campionessa paraolimpica di scherma Bebe Vio.

In un certo senso anche lei è stato un “ragazzo speciale”.

Io però non mi sentivo strano, era la cultura nella quale sono cresciuto che mi considerava tale. E questo non ha fatto che aumentare il mio senso di isolamento, come se non appartenessi a quel mondo. Ho sempre lottato contro la tendenza delle persone a inserire gli altri in categorie precise. In realtà sto ancora elaborando questi temi facendo cinema, una terapia piuttosto costosa, direi.

E cosa faceva quando se ne stava tutto solo?

Non sono stato un grande lettore, guardavo moltissima tv e film. Però amavo le storie di Roald Dahl popolate di sogni strani capaci di parlare sia ai bambini che agli adulti.

Oggi i social e la tecnologia rischiano di aumentare ulteriormente la solitudine di bambini e adolescenti.

È spaventoso che i ragazzini misurino la propria autostima in base ai like che ricevono. Io sono totalmente antitecnologico, in mia presenza, ve lo garantisco, si bloccano computer e cellulari, si fulminano lampadine. Quando mi capita di farne uso, mi sembra di inoltrarmi in un sentiero oscuro che mi terrorizza.

Cosa la affascinata del romanzo di Riggs?

Il fatto che la storia sia raccontata attraverso delle fotografie, che dicono molto, ma non tutto, conservando una buona dose di mistero e poesia. Realtà e fantasia di mescolano come anche in un altro mio film, Big Fish, i mostri che mangiano i bulbi oculari sono i nazisti, o forse no. Il libro mi ha permesso di recuperare quella lentezza un po’ onirica alla quale i bambini, bombardati da immagini velocissime, non sono più abituati. E del giovane protagonista, Jacob, amo che si senta fuori posto, che si tuffi nella storia senza sapere esattamente cosa fare. Asa Butterfield è perfetto in questo ruolo, anche lui timido e a disagio.

È il suo secondo film con Eva Green. È sempre stata lei Miss Peregrine?

Senza alcun dubbio, Eva è come una star del muto, capace di proiettare emozioni, umorismo, dramma, forza, potere. Ed è assolutamente credibile nella sua trasformazione in uccello. Sembra la versione dark di Mary Poppins, l’ho soprannominata Scary Poppins, ma è decisamente meno spaventosa della famosa tata Disney.

E a proposito di Disney, è vero che il suo prossimo film sarà Dumbo?

Mi è già capitato due volte di parlare di progetti che poi non si sono realizzati, per cui non aggiungo altro, vi farò sapere se e quando sarò al lavoro sul set.

Si è sempre mantenuto in equilibrio tra studios e indipendenza. C’è qualcosa che sta ancora aspettando di realizzare?

Ogni film che faccio è come se fosse il primo e l’ultimo, ho l’impressione di raccontare storie molto diverse ogni volta. Realizzo i film che “sento”, è più una questione emotiva che intellettuale.

A lei che piacciono le “stranezze”, come legge la vittoria di Trump e della Brexit?

Vivo a Londra da vent’anni, negli Stati Uniti ci torno poco. Non mi so spiegare cosa stia accadendo, vedo solo che tutto cambia molto velocemente, e nessuno riesce a prevedere davvero dove il mondo stia andando.

Alessandra De Luca

Guarda la gallery (foto di Pietro Coccia)

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