WEB SERIES: THE ESCAPE

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The Escape (Italia, 2013)

the-escape-posterCinque minuti di pura, classica, affascinante fantascienza: un uomo in fuga fra le rovine di un mondo post-apocalittico inseguito da un nemico che non lascia scampo, frammenti di dialogo che raccontano una colpa, una missione, un’ipotetica redenzione, poi la resa dei conti. E, per lo spettatore, la voglia di una storia più ampia e dettagliata. Nella sua forma, The Escape è un corto, che non sbaglia un’inquadratura e colpisce, oltre che per effetti visivi ben realizzati e non “invasivi”, per intensità e qualità: gli sceneggiatori-registi Alessandro De Vivo e Ivano Di Natale hanno lo sguardo giusto sul genere e utilizzano con intelligenza classiche tematiche sci-fi, Antonio De Rosa firma una bella fotografia cupa ed evocativa; la musica elettronica di Federico Truzzi crea un’atmosfera perfetta e il protagonista Massimo Di Matteo, bravo attore teatrale e televisivo, si spende al meglio, con grande intensità, anche se la voce è quella dell’irlandese David Masterson, famoso per il corto cult R’ha, scelta obbligata per affrontare il mercato internazionale. Perché l’idea (la speranza più che giustificata) di De Vivo e Di Natale è che questo corto valga in realtà come trailer- presentazione di un più ampio progetto di lungometraggio, che hanno già scritto. Proprio in questa forma “promozionale” lo hanno portato con successo in diversi festival, dal Fantafestival di Roma al London Sci-Fi Festival, dal californiano Holly Shorts Film Festival a quello di Phoenix. Sarebbe una gran bella notizia scoprire che esiste un produttore italiano pronto a scommettere sul progetto di De Vivo e Di Natale e che ha il coraggio, una volta tanto, di evadere dalla prigione della commedia e immaginare la (ri)nascita di un cinema di fantascienza italiano. Per arginare, oltre alla fuga di cervelli, pure quella dei talenti.

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INTERVISTA AD ALESSANDRO DE VIVO

Filmmaker napoletano di 35 anni, Alessandro De Vivo ha studiato alla Scuola i Cinema di Roma, dove ha conosciuto Ivano Di Natale. In attività ormai da dieci anni, i due registi, dopo un corto ancora amatoriale, Il momento giusto, thriller psicologico che dimostra il loro amore per il cinema di genere, nel 2012 firmano il pregevole The Story of a Mother, che rilegge con bel gusto gotico/horror e in perfetta sintonia (non voluta) con la moda imperante, una favola di Andersen, e che ottiene premi al Fantafestival e al California Film Festival. Dopo la positiva accoglienza in diversi festival internazionali di The Escape, abbiamo incontrato De Vivo per conoscere i dettagli della lavorazione del corto e parlare del loro progetto cinematografico.

Fin dall’inizio avete deciso di girare non un semplice corto, ma un pitch trailer per un lungometraggio?

E’ dal 2008 che Ivano ed io abbiamo in mente questa storia, che nasce dal genere di cinema che amiamo e con cui siamo cresciuti, che va da Carpenter a Spielberg, fino a Nolan. Per questo ci è sembrato naturale realizzare il corto nell’ottica di un progetto più ampio, coinvolgendo una serie di preziosi collaboratori, come il direttore della fotografia Antonio De Rosa o il compositore Federico Truzzi, che lavorano con noi da diversi anni. The Escape, pensato per un mercato internazionale – e, per questo, cosa che un po’ ci dispiace, abbiamo dovuto doppiare in inglese il bravo Massimo Di Matteo – è una presentazione “dal vivo” del film che vorremmo realizzare, non solo perché riassume i temi narrativi che intendiamo sviluppare, ma anche perché sottolinea lo stile e la tecnica del nostro progetto.

Mi piacerebbe approfondire l’elemento tecnico, perché ho trovato in The Escape un utilizzo molto interessante degli effetti visivi, che sono efficaci e ben realizzati, ma utilizzati con parsimonia e solo in funzione della storia .

Per rendere chiaro il rapporto fra storia e tecnica nel nostro progetto partirei da un fattore che per noi è stato determinante, cioè trovare la giusta location. Dopo una ricerca lunga e faticosa, alla fine abbiamo girato quattro giorni ad Apice, un piccolo paese nel beneventano completamente abbandonato a causa del terremoto. Questa location ha una duplice valenza. Da un lato è un non-luogo che ha un valore universale, per questo il film può essere girato in Italia, come negli Stati Uniti o altrove, anche perché la storia che abbiamo scritto ha tutte le caratteristiche del genere fantascientifico, ma è al contempo molto esistenziale, incentrata sul dilemma del protagonista e sulle sue scelte. La seconda è che già il corto risponde alle logiche del low budget. Siamo stati impegnati circa due mesi nella post-produzione e certo gli effetti visivi sono presenti, ma il novanta per cento di quello che abbiamo girato è reale, perfino l’esplosione è autentica, anche se potenziata in CGI. Il film può essere fatto con la stessa logica.

Avete presentato The Escape in diversi festival, sia in Italia che negli Stati Uniti, per trovare contatti e magari un produttore. Come sono andate le cose?

Abbiamo avuto qualche incontro interessante, e speriamo che si concretizzi in una proposta concreta. Soprattutto, però, ci ha colpito la grande differenza d’atmosfera nei festival italiani e in quelli americani. Dopo la presentazione a Phoenix o ad Athens le persone ci venivano intorno, ci chiedevano: “quando iniziate a girare il film?”, come le la cosa fosse naturale, visto che il corto era piaciuto. Ai festival americani c’è l’industria, la presenza attenta del cinema indipendente. Il Fantafestival, dove avevamo già vinto il premio miglior corto per The Story of a Mother, è una manifestazione storica, ben organizzata, molto piacevole, ma dopo la premiazione finisce tutto. D’altra parte, e la cosa è stata molto frustrante, per il corto abbiamo spedito un gran numero di email a produttori italiani. Nessuno ha risposto.

Stefano Lusardi