Mur, Kasia Smutniak regista e l’emergenza confini nel podcast Doc Talk

Anche una clip del suo film d'esordio, alla Festa del Cinema di Roma

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Kasia Smutniak Mur

Dopo averla vista in decine di film, la Festa del Cinema di Roma 2023 sarà l’occasione per scoprire Kasia Smutniak anche in veste di regista. Il suo debutto dietro la macchina da presa sarà con il Mur inserito tra le proiezioni speciali del programma ufficiale della manifestazione in programma tra il 18 e il 29 ottobre, un film che nasce dall’esigenza di comunicare un tema che sta molto a cuore all’attrice, quello dell’emergenza creatasi ai confini tra Polonia e Bielorussia, del quale ha parlato anche nel podcast Doc Talk della rivista Deadline (che potete ascoltare in fondo alla pagina).

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Annunciato come un documentario su una delicata situazione umanitaria e diplomatica e sulla crisi dei migranti bloccati in condizioni disperate tra le due nazioni, il titolo si riferisce esplicitamente al muro di oltre cento miglia eretto dalla Polonia (che ha investito oltre 400 milioni di dollari nell’opera) per respingere i migranti provenienti – soprattutto – dall’Iraq e da altre regioni del Medio Oriente.

Come sottolinea la regista, la Bielorussia di Lukashenko è accusata di attirare richiedenti asilo con la falsa promessa di un facile passaggio verso paesi dell’Unione Europea come Polonia, Lituania e Lettonia, nel tentativo di reagire alle sanzioni comminate dall’EU e di destabilizzarla. Una politica alla quale la neo regista risponde con il suo sguardo e con la consapevolezza che l’accoglienza non deve fare distinzioni, chiunque sia in pericolo va soccorso, un continente che si definisca democratico non innalza muri.

Il film di Smutniak sfrutta il ritmo di un thriller per rivelare che alcuni muri sono invisibili, insormontabili e costruiti per dividere arbitrariamente gli esseri umani in quelli degni di simpatia e quelli che non lo sono“: così veniva presentato il film al TIFF 2023, dove è passato in anteprima. Un concetto che è anche nell’opera e nelle parole della Smutniak, ospite del podcast – prodotto da Deadline e Ridley’s Nō Studios, in associazione con National Geographic Documentary Films – condotto dallo sceneggiatore e regista premio Oscar John Ridley e dal redattore di documentari Matt Carey.

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In attesa di scoprire sul grande schermo il progetto che ha messo Smutniak e il suo team di registi a rischio di arresto – visto che la Polonia vieta di avvicinarsi alla zona del suddetto muro, “interdetta al pubblico, compresi gli operatori umanitari e i giornalisti” – vale la pena dedicare qualche minuto del proprio tempo a questo terzo episodio di Doc Talk:

Mur, sinossi:

Marzo 2022, da pochi giorni la Russia ha invaso l’Ucraina e l’intera Europa si è mobilitata per dare asilo ai rifugiati. Il Paese che si è distinto per tempestività e generosità è stata la Polonia, lo stesso Paese che ha appena iniziato la costruzione del muro più costoso d’Europa per impedire l’entrata di altri rifugiati. Una striscia di terra che corre lungo tutto il confine bielorusso, chiamata zona rossa, impedisce a chiunque di avvicinarsi e vedere la costruzione del Muro, il protagonista della storia raccontata in questo film.

Il percorso, un incerto e rischioso viaggio nella zona rossa dove l’accesso non è consentito ai media, inizia davanti a un muro e davanti a un altro muro finisce. Grazie all’aiuto di attivisti locali e con una leggerissima attrezzatura tecnica, la regista raggiunge il confine e filma ciò che non si vuole raccontare. Il primo muro respinge i migranti che arrivano da terre lontane attraversando il bosco più antico d’Europa, una frontiera impenetrabile in un mare di alberi. Puszcza Białowieża, così si chiama quel bosco, che, proprio come il mare, è un elemento nuovo per le migliaia di persone che tentano il viaggio. Il secondo, quello di fronte alla finestra di casa dei nonni a Łódź, dove la regista giocava da bambina, è il muro del cimitero ebraico del ghetto di Litzmannstadt.

 

Mur, il contesto politico:

Dal 2021 il confine tra Polonia e Bielorussia è teatro di una delicata crisi umanitaria e diplomatica. Una crisi che ha radici di natura prettamente politica, sintomo dei tesi rapporti che sono sempre intercorsi tra Polonia e Russia, inaspriti in particolare dalla lunga crisi ucraina, iniziata con le proteste di piazza Maidan del 2013.

In Bielorussia è da anni al potere il dittatore Lukashenko, fedelissimo alleato di Vladimir Putin, in Polonia invece dal 2019 la maggioranza di governo è costituita da una coalizione di destra, capeggiato dal partito xenofobo e fortemente atlantista PiS.

La crisi verte sui numerosi migranti da Africa e Siria che affrontano la rotta balcanica per entrare in Europa, passando dunque per la Turchia, i paesi dell’ex-Jugoslavia, tentando poi di entrare in Ungheria, Cechia, Slovacchia e Polonia.

La Bielorussia ha cominciato ad esortare i migranti a giungere nel loro paese, addirittura con visti e voli pagati secondo alcuni giornali, per poi sistematicamente espellerli verso i confini dei paesi EU tra cui la Polonia. Quella di Lukashenko, accusato di aver creato una nuova rotta migratoria, è un’azione di rappresaglia nei confronti dell’Europa per le nuove sanzioni comminategli dopo le ennesime elezioni in Bielorussia caratterizzate da irregolarità e violenze nei confronti degli oppositori.

La coalizione di governo polacca, già naturalmente ostile agli extra-comunitari ha deciso dunque di sfruttare i timori dei propri elettori per il proprio tornaconto politico. Il risultato è stato un altrettanto sistematico respingimento dei migranti provenienti dalla Bielorussia. Questo è avvenuto più specificamente in una zona del confine sita nella foresta millenaria di Białowieża.

Nell’estate del 2021, il governo di Mateusz Morawiecki ha altresì deciso di rafforzare ancora di più la linea di confine con la costruzione di un muro, conclusasi nel 2022. L’azione polacca nel frattempo è stata molto criticata da diverse associazioni umanitarie. Di fatto i militari obbligavano i migranti a dover rimanere settimane bloccati in una striscia di terra larga poche centinaia di metri immersa nella foresta, noncuranti delle condizioni avverse sia del terreno che del clima, con il freddo invernale che sopraggiungeva.

Le notizie di queste vicende sono diventate anche più difficili da ottenere, dato che il governo polacco ha poi istituito una zona rossa attorno al confine per evitare l’avvicinamento di volontari e giornalisti indipendenti.

Le testimonianze ma soprattutto l’importantissimo lavoro di soccorso e sostegno ai migranti bloccati nella foresta, sono così passate in mano a singoli o gruppi di volontari, che si sono organizzati, rischiando in prima persona, per impedire che la crisi umanitaria assuma le proporzioni di quella già in atto nella più nota rotta migratoria del Mediterraneo.