Pier Paolo Pasolini – Una visione nuova. Presentato il doc di Giancarlo Scarchilli

Il regista ha presentato al Cinema Barberini di Roma il film dedicato al poeta-cineasta (in sala per Medusa dal 5 all’8 marzo). «Il suo erede cinematografico? Matteo Garrone».

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«Rabdomante del talento altrui»: è questa la chiave di lettura con cui Pier Paolo Pasolini – Una visione nuova, il documentario scritto e diretto da Giancarlo Scarchilli (Nastro d’argento 2011 per Vittorio racconta Gassman), racconta il poeta e regista che, a partire da Accattone (1961), entrò da letterato nella settima arte lasciandovi un segno indelebile. Prodotto da Morena Gentile, presentato al 40mo Torino Film Festival e distribuito da Medusa in 100 sale dal 5 all’8 marzo, il doc (una produzione MG Production in associazione con Luce Cinecittà, in collaborazione con Rai Cinema e CSC Cineteca Nazionale) offre dunque un’immagine prismatica del grande intellettuale attraverso i punti di vista di acclamati artisti e professionisti del cinema segnati dall’incontro col poeta corsaro.

Da Bernardo Bertolucci (che debuttò da aiuto regista proprio con Accattone), a Vincenzo Cerami, che di Pasolini fu alunno a scuola e poi assistente alla regia per Uccellacci e uccellini (1966). Passando per compositori come Ennio Morricone, scenografi come Dante Ferretti, costumisti come Danilo Donati, montatori come Nino Baragli. E ancora (ma non certo meno importanti), interpreti professionisti e divi reinventati (Totò, Anna Magnani, Orson Welles, Maria Callas) o scoperti nelle periferie romane e lanciati nella loro prorompente espressività: fra questi, Ninetto Davoli e Franco Citti saranno anche tra i più stretti sodali di PPP, insieme all’attrice (e fondamentale divulgatrice della sua memoria) Laura Betti.

E a Sergio Citti, il «Virgilio» di Pasolini (come lo definisce Pupi Avati) nelle borgate capitoline e suo inseparabile compagno durante l’avventura cinematografica, fin dal lungometraggio d’esordio (nato proprio dalle trascrizioni di alcuni sogni del futuro regista di Casotto). Citti è tra le presenze più forti del film di Scarchilli, che con lui stringe un’amicizia profonda e muove i primi passi nel cinema, collaborando a Due pezzi di pane, Il minestrone e Sogni e bisogni.

Scarchilli ricorda e omaggia in particolare la «semplicità» (cui si combinava una peculiare «aristocrazia di pensiero») di Citti, il suo essere «una persona diretta», forte di un’autenticità che ne informava anche lo stile cinematografico: «Non si fermava mai all’apparenza, allo stereotipo», sottolinea, e citando I magi randagi rammenta come, guardando i film dell’autore scomparso nel 2005, «era come se gli occhi respirassero immagini fresche», non preconfezionate in base a mode o tendenze di mercato.

Un caso emblematico di come il percorso pasoliniano abbia «cambiato la vita a un numero incalcolabile di persone», rimarca il doc per bocca del regista, scrittore e giornalista David Grieco, che al poeta e al suo assassinio nel 1975 all’idroscalo di Ostia ha dedicato un’inesausta ricerca della verità condotta (anche) attraverso il libro e il film La macchinazione. E che in Una visione nuova racconta, tra le altre cose, come l’impatto dell’opera di Pasolini nell’immaginario fosse evidente già dalla folla riversatasi per il corteo funebre, tanto da spingere Franco Citti a commentare con amara ironia: «Ah, allora non è morto solo un frocio!».

Tale influenza si deve, sottolinea Scarchilli, a una capacità di «leggere la realtà talmente a fondo» da anticiparne fenomeni e derive nei decenni, con un’«analisi spietata, lucida e, con amore, disperata della nostra società». Difficile d’altronde, se non impossibile, azzardare ipotesi su cosa avrebbe detto Pasolini di tanti fatti della storia italiana che pure chiamano in causa le sue riflessioni. Perché, sostiene Scarchilli, il rischio è sempre quello di forzare entro la propria cultura e sensibilità una figura anomala come PPP: mentre «se c’è uno che non era definibile era proprio Pasolini».

Non a caso, un capitolo del documentario si sofferma sul Pasolini degli Scritti corsari, quegli interventi polemici che, rompendo dall’interno equilibri e ideologie di un quotidiano borghese come il Corriere della Sera, racconta senza dogmatismi e con ineguagliato, provocatorio coraggio (basti pensare all’emblematico «Io so» del Romanzo delle stragi) le contraddizioni, le manovre delittuose del potere politico-economico e l’alienazione da neocapitalismo consumista dell’Italia negli anni Settanta. «Senza gli Scritti corsari», dice Scarchilli, «non avremmo avuto un tipo di giornalismo», così come «senza Ragazzi di vita non avremmo avuto un tipo di letteratura e senza Accattone non avremmo avuto un tipo di cinema».

Ce lo ricorda bene il film, che un commosso Scarchilli dedica al direttore della fotografa e amico Blasco Giurato. E che tra testimonianze di ieri e di oggi (da Carlo Verdone e Daniele Luchetti a Walter Veltroni, Felice Laudadio, Giancarlo De Cataldo), valorizza di Pasolini l’essere stato un «irregolare» del cinema, e tanto più per questo capace di elaborarne un’idea personale e potente. Dando a chi lavorava con lui l’impressione di «assistere ogni volta alla nascita del cinema», come diceva Bertolucci. Un’esperienza, quella di Pasolini, che secondo Scarchilli è ben accostabile per «libertà di pensiero» a quella di un altro eretico e geniale provocatore della cultura (e della sinistra) italiana nel secondo Novecento, Giorgio Gaber (il quale fu coinvolto proprio dal documentarista nel cast de Il minestrone).

Come «erede» ideale della visione pasoliniana nel cinema italiano odierno, Scarchilli menziona invece Matteo Garrone. Per «autenticità» e «pulizia di sguardo rispetto alle cose», oltre che per la tensione a «fare sempre film che era necessario fare». Non per nulla, aggiunge, Garrone amava anche il cinema di Sergio Citti.