Hellboy, tra mutanti e zombie un reboot sovraccarico

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Usa, 2019 Regia Neil Marshall Interpreti David Harbour, Milla Jovovich, Ian McShane, Daniel Dae Kim, Sophie Okonedo, Brian Gleeson, Sasha Lane, Penelope Mitchell, Kristina Klebe, Alistair Petrie, Bern Collaço Distribuzione M2 Pictures Durata 2h

Al cinema dall’11 aprile 2019

LA STORIA – Su Hellboy, scarlatto figlio dell’Inferno, pesa una sorta di pregiudizio-maledizione: nonostante sia la forzutissima punta di diamante dell’Ufficio per il Paranormale Ricerche e Difesa, gestita dal padre putativo dr. Broom contro ogni tipo di minaccia ultraumana, per molti (religiosi e non) è non solo un mostro, ma anche uno strumento del male più o meno inconsapevole, data la sua “nascita” durante la guerra dalle evocazioni del negromante Rasputin al soldo dei nazisti.

In effetti l’acerrima nemica del genere umano, la Regina di Sangue, ovvero la potentissima capa delle streghe Nimue, smembrata in cinque pezzi dalla spada di Re Artù, Excalibur, ma ora ricucita e risorta più vendicativa che mai, ha per lui un progetto tutto speciale, all’interno del disegno di una apocalisse con conseguente trionfo delle ributtanti creature un tempo sconfitte dai cavalieri britannici. Aiutato dalla sensitiva Alice e dal maggiore Daimio, un militare che nasconde dentro di sé uno sconcertante segreto, Hellboy proverà a opporvisi, lottando contro tutto e tutti, compreso se stesso.

L’OPINIONE – Mancava sullo schermo dal 2012, il supereroe creato da Mike Mignola e protagonista di una serie di fumetti della Dark Horse a indipendente ed equanime distanza (e prossimità) da Marvel e DC Comics. Ora torna in rinnovata veste, con David Harbour (Stranger Things su Netflix) che ha preso il posto di Ron Perlman dietro il pesante trucco (e non crediamo che quest’ultimo ne sia rimasto contento), in un due ore e rotti di pellicola che sono contemporaneamente troppe e troppo poche. Troppe, per la capacità di sopportazione di uno spettatore che ha superato gli “enta”, poche per la costipazione di quel che accade in spasmodico accumulo, dai prequel (dedicati alla malvagia dagli obbiettivi di superdistruzione con palingenesi – è ormai il minimo sindacale per ogni villain che si rispetti- e a Hellboy di cui qui scopriamo il nome – non diremo di battesimo! – ovvero Anung Un Rama), all’introduzione (in Messico si scontra sul ring, tipo wrestling, con un amico diventato vampiro che si fa chiamare Camazotz), alla storia vera e propria, con complotti centenari, streghe, zombies, giganti, mostri con la faccia di maiale e una Baba Yaga di slava memoria.

E poi ancora: mutanti, medium, spiriti, voragini infernali da cui fuoriescono abomini ammazzacristiani (e sicuramente mi sto dimenticando qualcosa), prima del possibile sequel che già si intravede nelle sequenze di commiato. L’ansia di competere con gli altri kolossal con super eroi ha partorito un’avventura sovraccarica, talmente frenetica da far passare in cavalleria qualsiasi obiezione con sospetto di cazzeggio con super effetti speciali. Si arriva a un parossismo di allusioni e citazioni dall’universo fantasy più o meno cinefilo, da far accettare tutto, quasi per resa.

Gli attori sono dinamici e inevitabilmente sempre un po’ schizzati. Milla Jovovich si fa in cinque sempre con la stessa espressione cupa, il coreano Daniel Dae Kim è un “lost” ritrovato, la altrove espressiva Sasha Lane (American Honey, La diseducazione di Cameron Post) qui ammicca alla giovanotta moderna ma sostiene la parte della medium vomita spiriti. D’altro canto il protagonista David Harbour ha qualche buona battuta da sciorinare (“Non funzionerà. Io sono capricorno e tu sei matta!”, detto alla Regina di Sangue, o “Ci sono padri che regalano ai figli il Lego!” – questa però dovete vedere a cosa si riferisce per apprezzare) e il buon vecchio Ian McShane (Deadwood, Scoop) comincia ad apparire effettivamente un po’ troppo vecchio (ancorché sempre sardonico) per fare ancora il combattente.

Neil Marshall è capace (The Descent e Doomsday, più episodi di Black Sails, Il trono di spade, Westworld lo testimoniano) e tutto sommato sostituisce dignitosamente (almeno nella confezione) il magistrale Guillermo Del Toro (regista dei primi due) che avrebbe tanto voluto dirigere anche un Hellboy numero 3 ma è stato evidentemente esautorato con questo reboot (attenzione: non sequel!), decisamente più semi-horror, macabro ed anche enfatico di come lui l’avrebbe realizzato.